Mentre le proteste in Iran proseguono imperterrite, centinaia di ragazze hanno manifestato sintomi di malessere dovuto ad avvelenamento.
A quanto pare, le uccisioni e le torture a cui sono stati sottoposti milioni di manifestanti non sono abbastanza. In Iran la situazione si fa sempre più tesa, da quando le proteste contro il regime hanno avuto inizio in seguito all’omicidio di Mahsa Amini. La 22enne ha perso la vita lo scorso settembre dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa per non aver indossato l’hijab in modo corretto. La sua morte sospetta ha scatenato una reazione pubblica sfociata in un duro scontro tra i cittadini e lo Stato.
A partire da quel momento il Paese è precipitato nel caos. Centinaia di persone sono state uccise e oltre 20 mila manifestanti sono finiti in carcere. La popolazione ha dimostrato di essere più agguerrita che mai, senza tirarsi indietro, nemmeno davanti a tanta violenza. In base a quanto emerso negli scorsi giorni, sarebbe stata adoperata un’altra strategia per soggiogare le ragazza che frequentano le scuole. L’istruzione e la cultura, strettamente collegate ad una maggiore libertà e alla possibilità di riscatto sociale, non sono ben viste dal regime.
Soprattutto da quando le proteste sono cominciate. Diverse giovani, infatti, si sono mostrate senza velo nelle loro aule in segno di protesta. Il caso di Masooumeh, 14enne che è stata stuprata e uccisa per essersi tolta l’hijab a scuola, è diventato emblematico. Negli ultimi mesi centinaia di ragazze residenti in diverse città dell’Iran hanno manifestato sintomi di malessere dovuto ad avvelenamento. Sono almeno 200 le studentesse ad aver riportato tosse, difficoltà respiratorie, mal di testa, nausea, palpitazioni e sonnolenza.
Iran, cosa si sa dei casi di avvelenamento
A fine novembre si è verificato il primo caso presso una scuola superiore di Qom, seconda città santa dell’Iran celebre per il santuario di Hażrat-é Maʿsūmeh. Ad oggi, sono circa 14 le scuole finite nel mirino. Il viceministro dell’Educazione Younes Panahi ha spiegato che i responsabili hanno fatto ricorso a sostanze chimiche non ancora identificate: ciò che è sicuro è che non stati usati prodotto chimici di guerra. Di conseguenza “una grande percentuale degli agenti chimici usati sono curabili”, come affermato dal viceministro. Tuttavia secondo alcune testimonianze (diffuse nelle scorse ore su Twitter) una delle vittime di avvelenamento avrebbe perso la vita: Fatemeh Rezaei sarebbe morta a soli 11 anni.
Panahi, proseguendo, ha dichiarato che l’avvelenamento rientrerebbe in un piano volto a chiudere le scuole, in particolare quelle femminili. I responsabili, inoltre, sarebbero intenzionati a spaventare le giovani studentesse e vendicarsi per via delle loro proteste. Lo ha affermato un medico specializzato nei trattamenti per le vittime di avvelenamento. A detta del dottore, intervistato dal Guardian anonimamente, l’avvelenamento sarebbe stato provocato da un agente organofosfato con l’obiettivo di terrorizzare le “studentesse che sono le pioniere delle recenti proteste”.