E’ finito in manette con l’accusa di associazione mafiosa Andrea Bonafede, il prestanome di Matteo Messina Denaro.
A una settimana dall’arresto del super boss Matteo Messina Denaro i carabinieri del Ros hanno messo le manette ai polsi anche ad Andrea Bonafede, il prestanome che aveva dato all’ex latitante la propria carta di identità per avere la tessera sanitaria con cui ricevere le cure necessarie. L’uomo è accusato di associazione mafiosa.
Lunedì 23 gennaio si è proceduto all’arresto di Andrea Bonafede che si trovava nell’abitazione di sua sorella Angela sulla tredicesima est di Tre Fontane, una frazione di Castelvetrano. Oltre ad aver prestato la sua identità a Matteo Messino Denaro per consentirgli di curarsi presso la clinica La Maddalena di Palermo Bonafede ha acquistatoanche la casa in provincia di Trapani in cui il criminaleex super ricercato ha passato l’ultima parte dei suoi 30 lunghi anni di latitanza. Grazie ai dati del malvivente che secondo l’ordinanza del gip sarebbe un uomo d’onore riservato, l’ex latitante ha potuto acquistare cose ed entrare in possesso di una macchina Giulietta su cui viaggiava.
Il veicolo, acquistato dal padrino in persona, era intestato alla madre di Bonafede. A far scattare l’azione delle forze dell’ordine è la motivazione messa su carta dal gip Alfredo Montalto che ha sottolineato come non sia credibile che il latitante più pericoloso si sia fidato a un soggetto incontrato occasionalmente, non affiliato e che non vedeva da anni per entrare in una struttura sanitaria, quindi una situazione ad alto rischio.
Dopo la cattura di Matteo Messina Denaro il geometra era rimasto a piede libero, la sua posizione però, nel corso dei giorni, si è fatta ancora più seria e così i magistrati della Dda, coordinati dalla procura di Palermo, hanno chiesto e ricevuto l’ok per una misura cautelare per il pericolo di fuga e di inquinamento delle prove. L’uomo è il nipote di un altro mafioso: Leonardo Bonafede che a sua volta ha protetto il boss di Cosa Nostra.
L’accusato di associazione mafiosa aveva prestato la sua identità già dal 2020 e dopo i fatti di settimana scorsa aveva cercato di ridurre al minimo la sua complicità, cosa che però non ha convinto il giudice e che è stata completamente smentita dalle indagini.
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