Alessandra Matteuzzi, un mese e mezzo prima del delitto il killer scriveva: «La uccido»

È in carcere da agosto Giovanni Padovani, il calciatore 27enne che il 23 agosto si presentò sotto casa della sua ex Alessandra Matteuzzi, 56 anni, per ucciderla a pugni e martellate.

Per lui c’è l’accusa di omicidio aggravato dallo stalking, ma non dalla premeditazione. Ma l’esame del suo smartphone potrebbe spingere i pm a contestargliela.

Sullo smartphone di Giovanni Padovani la Procura ha chiesto una consulenza. Dalla quale, riferisce l’edizione bolognese del Corriere della Sera, è emersa quella che a tutti gli effetti appare la programmazione dell’omicidio.

Con appunti raggelanti. Come quelli del 2 luglio, quando il calciatore si annota lo strumentario da portare (nastro isolante, martello, corda, in caso meglio le manette) e progetta perfino di inventarsi una chat (per domenica 21 agosto) «tra te e lei dove ti dice di venire a casa sua e portare manette». Annotazioni sinistre che anticipano l’intenzione di uccidere la sua ex fidanzata. Per non parlare delle centinaia di ricerche sulla rete, in un crescendo senza fine fino a poche ore prima del delitto.

Appunti agghiaccianti

Prima di uccidere la donna, Padovani avrebbe valutato con attenzione ogni scenario e dettaglio: dalla modalità di uccisione a quella della fuga. Senza mancare di prendere in considerazione, come ipotesi peggiore, anche la possibilità di finire in carcere. «La uccido perché lei mi ha ucciso moralmente, ucciso la mia autostima, mi ha fatto diventare apatico verso tutto e ormai sono completamente suo».

Le prime attività da stalker datano 23 aprile quando il calciatore scrive alla madre, dopo averle mandato uno screenshot: «Sono le telecamere di casa sua e ha il suo cellulare in mano. Ero riuscito a entrare», facendo capire di essere in possesso delle immagini delle telecamere di videosorveglianza della ex.

Le ricerche sul web prima del delitto

C’è infine l’inquietante serie delle informazioni cercate in rete. A partire dall’11 giugno fino a poche ore prima del delitto: «Pena omicidio volontario», «uccide a coltellate la moglie e scappa: fermato». Il 29 maggio aveva cercato «come sabotare un motore» (la donna denuncerà un episodio simile).

Mano a mano che si avvicina il delitto le ricerche si affinano e si fanno sempre più frequenti e dettagliate. Così spuntano fuori ricerche tipo «come comprare un’arma» o sul miglior metodo di uccisione («Quanto ci vuole per morire per strangolamento», «con un colpo alla testa forte con una spranga riesce poi a urlare?», «dove perde meno sangue una persona con un coltello» o «con una mazza»).

Alle 18 del 23 agosto, giorno del delitto, si preoccupa anche di come difendersi durante l’aggressione (Alessandra aveva lo spray al peperoncino) digitando sul web: «spray al peperoncino in faccia cosa comporta».

Nei giorni precedenti aveva anche cercato informazioni sulla pena per l’uccisione, notizie sulla vita in carcere, come mettendo già in conto di doverci finire. Ma cerca anche altre ipotesi (un sicario?) come le «tariffe per uccidere» o «il rapimento perfetto». Ipotizza pure una possibile fuga in Albania o in «stati dove non valgono le leggi italiane». Cerca perfino «qual è il posto migliore per nascondere un cadavere?».

Tutti segnali, dicono gli avvocati Chiara Rinaldi e Antonio Petroncini, difensori dei familiari della vittima, che indicano come «Padovani ha iniziato ad accarezzare l’idea di uccidere Alessandra da giugno e dopo aver scelto la modalità omicidiaria ha atteso l’occasione giusta e lo ha fatto».

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