A tre anni dallo scoppio della pandemia di Covid-19, il virus sembra riprendere forza in Cina, dove tutto cominciò.
Non è il caso però di fare allarmismi, perché le cose da allora sono molto cambiate e non è detto che emerga una variante più pericolosa delle ultime.
Con le nuove immagini provenienti dalla Cina – così simili a quelle di Wuhan all’inizio del 2020, dove tre anni fa scoppiò la pandemia che avrebbe colpito il mondo – si diffonde una comprensibile preoccupazione anche da noi.
Certo le cose sono cambiate dalla prima ondata del virus che travolse l’Italia – soprattutto al Nord – come un fiume in piena dopo i due turisti cinesi ricoverati in terapia intensiva a Roma a fine gennaio, il primo caso autoctono a Codogno, le impressionanti bare di Bergamo. Poi il lungo lockdown e la tranquillità – solo apparente – dell’estate 2020.
Infine, il 27 dicembre 2020, arriva il primo vaccino a mRNA. Ma arriva anche, assieme all’inizio della campagna vaccinale, la variante Alfa, prima delle varianti più contagiose. Seguita poi da Beta e Gamma (già in grado di aggirare parzialmente la copertura vaccinale). In estate poi è il turno di Delta. E con le varianti parte anche la campagna per la somministrazione della terza dose, non essendo due rivelatesi sufficienti.
Ad autunno-inverno dell’anno scorso poi arrivò la variante Omicron, impossibile da arginare come diffusione ma dal minore impatto clinico, che tendeva a aggredire meno i polmoni. Col vaccino che appare in grado di proteggere dalla forma grave della malattia ma solo parzialmente dall’infezione sintomatica, le cose cambiano ancora. Da lì in avanti la nuova tendenza sarà vaccinare fragili e anziani per proteggerli e non più per rallentare la corsa del contagio. È il passaggio chiave che, come scrive sul Corriere della Sera Giovanni Rezza, epidemiologo del ministero della Salute, «segna la fine sociale dell’epidemia e il cammino verso la sua fine biologica».
Com’è che allora in Cina il virus ha ricominciato a correre? Pechino, spiega Rezza, ha adottato fin da subito una diversa strategia: la cosiddetta politica «Zero COVID», fatta di screening di massa, isolamento, quarantena.
Mentre in Italia la popolazione si è parzialmente immunizzata con vaccini e infezione naturale, in Cina un’ampia fetta della popolazione è rimasta esposta al virus (perché mai contratto e poco protetta dalla campagna di immunizzazione). Per questo, quando la contagiosità di Omicron si è dimostrata in grado di aggirare anche le più rigide misure di contenimento e le proteste sociali hanno spinto le autorità cinesi ad allargare improvvisamente le maglie, il virus ha ripreso a infuriare.
Quanto alle ricadute da noi, dove c’è un alto livello di copertura immunitaria e il virus appare ormai destinato a diventare endemico, la cautela è d’obbligo. Anche se un virus che circola molto in fretta in una grande popolazione ha sicuramente la tendenza a mutare, non è affatto certo che venga selezionata una nuova variante che possa scompaginare di nuovo le carte. Il meglio che si possa fare, sottolinea Rezza, è monitorare con accuratezza gli sviluppi del virus e la situazione epidemiologica senza dar corso ad allarmismi fuori luogo.
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