Milano, senzatetto rinuncia al bimbo appena nato: “Come posso tenerlo in queste condizioni?”. La storia della coppia raccontata dalla giovane mamma di 24 anni.
Una storia che trova il suo spazio in una condizione di povertà estrema e di marginalità sociale, dove una giovane coppia è stata costretta a non riconoscere il figlio poiché entrambi senzatetto. È la storia di una coppia di clochard del Milanese, che non ha potuto riconoscere il bimbo appena nato, lasciato in ospedale senza essere riconosciuto.
Il neonato è nato il 2 dicembre scorso, all’ospedale di Melegnano, pochi chilometri a sud di Milano, e sarebbe già disponibile per un’adozione. Raggiunta da alcuni giornalisti, la giovane donna che l’ha messo al mondo ha parlato di una scelta obbligata: “Che senso aveva? Tanto sapevo che non lo avrei tenuto. Come si fa a tenere un neonato in questa situazione?”.
La vicenda che vede protagonisti un neonato e due clochard di Milano ha attirato già da diversi giorni l’attenzione nazionale. Il piccolino è stato lasciato presso l’ospedale in cui è nato, con la madre che ha deciso di non riconoscerlo. E mentre il bimbo è rimasto lì, al nosocomio, la madre se n’è invece tornata presso il suo precario rifugio, allestito alla bene e meglio vicino la stazione delle metropolitana di San Donato.
Un po’ di cartoni, tre ombrelli, e un carrello della spesa posizionato lì accanto: è qui che la coppia vive da aprile. E a scaldare sia lei che il compagno dal freddo dell’inverno, una coperta militare. In questo giaciglio vivono la loro vita dopo essere andati via da Cagliari, e aver trascorso qualche anno in Germania, per lavoro. “Lui lavorava come pizzaiolo dentro una fabbrica della Volkswagen, e io facevo lavoretti in nero, stavamo bene”, ha raccontato la giovane 24enne ai giornalisti che l’hanno raggiunta. Dalla Germania se ne sono andati a causa di alcuni debiti. Dopo aver trascorso qualche tempo in prigione, dove “ti danno tutto e pure un po’ di soldi”, se ne sono tornati a Milano.
“In centro ci mandavano sempre via, qui va bene e se fa troppo freddo andiamo a dormire giù in metropolitana, ma alle 5 del mattino ti cacciano. Ma nei dormitori non ci andiamo perché ci separano”, ha spiegato la giovane madre. Né lei né lui hanno più i documenti, e preferiscono rimanere anonimi, perché hanno paura che qualcuno possa riconoscerli. La ragazza ha raccontato di qualcuno che si è offerto per pagargli il biglietto per tornare al loro Comune, così da poter almeno rifare le carte d’identità. “Ma io non credo che una persona normale poi ci paghi anche il ritorno e in Sardegna non ci vogliamo restare, perché lì non c’è proprio niente per noi”, ha spiegato la giovane.
Per questo preferiscono rimanere entrambi in quel giaciglio di fortuna, lontano dal centro – “perché ci cacciano sempre”. La madre del bimbo, che fin da piccola sognava di fare l’anatomopatologa e che passa molto del suo tempo a leggere, ha spiegato che vorrebbe tanto trovare un lavoro; al tempo stesso, però, non nutre molte speranze in merito: “Chi se la prende una come me?”. Una giovane donna che, in passato, avrebbe sofferto anche di qualche problema psicologico: in Sardegna, ha raccontato, era “seguita dai servizi psichiatrici”. Sulla sua decisione di non riconoscere il bimbo, però, nessun ripensamento: “Avrei fatto l’interruzione di gravidanza se mi fossi accorta di essere incinta, ma da tre anni non avevo più il ciclo, quindi proprio non mi sono resa conto. Che senso aveva tenerlo? Come si fa a tenere un neonato in questa situazione?”.
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