Il calcio, la malattia e l’incontro con Mihajlovic che gli ha cambiato la vita

Un tifoso del Bologna giunto a Roma per l’ultimo saluto a Sinisa, ricorda come l’allenatore abbia saputo infondergli speranza e coraggio nello stesso percorso per combattere la malattia. 

Sinisa Mihajlovic non ha lasciato un grande vuoto solo nel cuore dei suoi tifosi, nella sua lotta alla malattia ha saputo infondere coraggio anche a chi come lui condivideva lo stesso difficile percorso di cura. Lo ha raccontato Matteo Elmi dopo essere arrivato a Roma da Bologna per l’ultimo saluto all’ex-giocatore e allenatore serbo per il suo funerale.

Il giorno più importante del mio percorso è stato quando ho incontrato Sinisa. Lui era arrivato al Sant’Orsola da due mesi, io mi stavo curando da otto. Quei minuti passati insieme sono stati per me una svolta – spiega -. Io un linfoma, lui una leucemia particolare. Ora per fortuna sto bene, sono guarito. So quanto sia dura affrontare questa battaglia”. A 22 anni, dopo avere superato la malattia ora vive a Milano dove lavora come ingegnere.

Tifo Bologna, vado al Dall’Ara e in trasferta, il 4 gennaio sarò di nuovo qua per Roma-Bologna. Oggi, invece, sono qui per Sinisa” afferma mentre tiene in mano una maglia del Bologna, quella dell’ex-capitano Rodrigo Palacio. Dice che gliel’ha regalata Mihajlovic con tanto di autografo dei giocatori rossoblu. “La tengo sempre con me, in camera, quando viaggio. Me la fece recapitare dentro una grande busta. ‘Per Matteo’. Lui non poteva darmela a mano, era ‘chiuso’ in camera”.

Matteo era ricoverato con Mihajlovic nel reparto di ematologia del Sant’Orsola. “Io ho fatto un mese di ricovero e poi avanti e indietro, casa-ospedale: un’esperienza assurda. Lui è arrivato dopo. La prima cosa che ho pensato: uno forte come lui, come è possibile? Conoscevo l’iter a cui si sarebbe dovuto sottoporre, quello che c’era da passare, e mi è dispiaciuto tantissimo. Allo stesso tempo l’ho visto subito come un punto di riferimento, ‘lotteremo insieme’, mi diede forza e ancor più dopo“.

“Io ero devastato, avevo appena ricevuto una brutta notizia. Le mie cure non erano finite, dovevo continuare. La mia dottoressa, che ringrazierò sempre, conosceva la mia passione per il Bologna e così, per tirarmi su, il giorno dopo mi ha portato da lui continua Matteo -. Siamo stati insieme 10 minuti, una svolta per me: mi disse di non mollare, poi mi ha mezzo abbracciato, una forte pacca sulla spalla, io non riuscivo a parlare, emozionato: quando sono tornato a casa ero l’uomo più felice del mondo“.

Mi parlava con grande naturalezza, al tempo stesso era molto deciso. Per quello riusciva a trasmettere forza e determinazione. E lo faceva mentre era dentro alla sua battaglia. Quando parlava, parlava a tutti. Mi ha aiutato tanto, fin dalla prima estate. Dovevamo rivederci, non c’è stata occasione. Gli dovrò sempre qualcosa“.

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