Molti segnali indicano che Pechino non ha affatto accantonato i piani per invadere l’isola di Taiwan, al contrario.
La Cina sarebbe soltanto alla ricerca di un altro pretesto per mettere in atto il suo progetto di conquista sull’isola di cui rivendica la sovranità.
La minaccia militare di Pechino verso Taiwan è “più seria che mai” e i cinesi sono alla ricerca di un “pretesto per esercitarsi per l’attacco futuro” all’isola. Sono le dichiarazioni del ministro degli Esteri di Taiwan, Joseph Wu, intervistato dal Guardian. Nell’intervista il numero uno della diplomazia di Taipei invita a non sottovalutare i piani cinesi per conquistare Taiwan e mette in guardia contro l’autoritarismo del presidente cinese, Xi Jinping, la cui leadership si è ulteriormente consolidata dopo il ventesimo Congresso del Partito Comunista Cinese dello scorso ottobre.
In estate, ad agosto, la tensione tra Cina e Taiwan ha toccato i livelli più allarmanti degli ultimi decenni, in occasione dei sette giorni di massicce esercitazioni militari attorno all’isola. Una rappresaglia per la visita a Taipei della portavoce della Camera dei Rappresentanti Usa, Nancy Pelosi. “Siamo abbastanza sicuri che i cinesi vogliano usare un altro pretesto per esercitarsi per i loro futuri attacchi contro Taiwan“, ha detto il ministro degli Esteri di Taiwan. Wu parla di una “combinazione di pressioni” dei cinesi su Taiwan. Una combinazione nella quale rientrano molteplici ambiti: come la sfera economica, quella diplomatica e quella della sicurezza informatica. Il pericolo è quello di incidenti che possano innescare una nuova escalation.
Come la Cina sta progettando l’invasione dell’isola
Un’escalation che secondo l’analista statunitense, Ian Easton, che ha potuto prendere visione i documenti interni dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese, dovrebbe seguire un piano in tre fasi: blocco e bombardamento, attacchi informatici diretti a internet e alle comunicazioni del governo di Taipei e infine la distruzione di infrastrutture strategiche.
Il punto più preoccupante è la sostanziale incomunicabilità tra le due sponde dello Stretto. Uno stop alle comunicazioni che si è infittito soprattutto nel corso degli ultimi due anni, in coincidenza con l’aumento delle pressioni cinesi su Taiwan. In precedenza c’erano ancora delle comunicazioni tra businessmen di Taiwan e accademici cinesi legati all’establishment di Pechino. Ma adesso anche quelle linee di comunicazioni sembrano essersi interrotte. Colpa, dice Wu, “del sistema di governo cinese, che è diventato così autoritario”.
Infatti, spiega il ministro taiwanese, “gli accademici cinesi hanno paura di dire cose diverse dalla propaganda e ci hanno detto in modo molto schietto che non hanno più connessioni con il governo centrale, e che anche se fossero in grado di entrare in contatto con le burocrazie, queste burocrazie non sembrano avere piu’ la fiducia del leader“. Vale a dire di Xi, che Wu definisce il “sommo capo”, che in questo momento nessuno ha il coraggio di sfidare.