Il termine hikikomori deriva dal giapponese e viene usato in riferimento alle persone che scelgono di rinunciare alla vita sociale. Il fenomeno riguarda soprattutto i ragazzi e, spesso, l’attenzione sui casi di donne hikikomori finisce con l’affievolirsi.
Il termine hikikomori ha origini giapponesi e deriva dalle parole “hiku” (che può essere tradotto con “tirare”) e “komoru” (ovvero “chiudersi”). Viene utilizzato in riferimento alle persone che decidono di ritirarsi alla vita sociale e rinunciare alle interazioni con gli altri, senza risparmiare i propri famigliari.
Si tratta di un fenomeno molto diffuso, tanto da aver portato il governo giapponese a stilare una serie di criteri per riconoscere tale situazione. L’abbandono scolastico o la sottrazione dal lavoro possono essere dei campanelli di allarme.
Da diversi anni il fenomeno si è guadagnato una maggiore attenzione anche in Italia (dove, secondo le fonti, ci sarebbero circa 100 mila hikikomori), grazie all’impegno di realtà come l’associazione Hikikomori Italia che punta proprio a sensibilizzare sul tema e fornire un supporto.
Come viene spiegato sul sito ufficiale del progetto, gli hikikomori sono soprattutto giovani di età compresa tra i 14 e i 30 anni. Sebbene inizialmente fosse considerata una “sindrome culturale” sorta in Giappone e confinata all’interno del paese, col passare del tempo si è capito che si tratta di un “disagio adattivo sociale” diffuso ovunque.
Sono diverse le ragioni che potrebbero portare una persona a decidere di isolarsi dal resto del mondo. In molti casi gli hikikomori sono ragazzi dotati di una particolare sensibilità e tendenzialmente introversi che potrebbero avere difficoltà ad interagire e creare legami importanti rischiando di rimanere delusi ed isolarsi.
A ciò si possono aggiungere le pressioni sociali: il ritiro, in tal caso, potrebbe percepito come una soluzione per fuggire all’ansia e alla preoccupazione di soddisfare le aspettative altrui. Anche il rapporto con i genitori potrebbe incidere. Oppure, il fatto di vivere male l’ambiente scolastico per via del bullismo.
Come spiegato precedentemente, il fenomeno riguarda soprattutto i giovani. In particolare, la maggior parte degli hikikomori è di sesso maschile. Ciò porta, in molti casi, ad un affievolimento dell’attenzione verso le donne hikikomori.
Eva Maria Angelini è una ragazza di Torino che, per due anni, ha vissuto lontana da tutto e tutti passando le sue giornate in una camera guardando video su YouTube, senza fare nient’altro. Oggi è la co-fondatrice di Hikito, progetto che intende aiutare gli hikikomori a trovare un valvola di sfogo nell’arte. Intervistata da VD News, ha raccontato la sua storia e della necessità di parlare di un “fenomeno hikikomori al femminile”.
Secondo Eva Maria, bisognerebbe puntare un’attenzione maggiore su come molte donne vivono tale disagio, ovvero con modalità diverse dagli uomini. “Nel momento in cui si esce fuori dalla definizione stretta di hikikomori, magari loro non vengono contate” ha spiegato nell’intervista.
Da una parte, le persone di sesso maschile “tendono ad avere più tabù”, a detta di Eva Maria, finendo col sentirsi a disagio al pensiero di non essere all’altezza di determinati standard. Questo motivo potrebbe essere alla base dell’elevato numero di uomini che vive in isolamento.
D’altra parte, le donne “hanno una maggiore capacità di essere comprensive” e un approccio diverso alla socialità. Secondo Eva Maria, le ragazze che si ritrovano a vivere i problemi legati al fenomeno hikikomori, potrebbero essere escluse dalla definizione più stringente del termine e non venire prese in considerazione nonostante il loro forte disagio sociale.
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