La Commissione europea guarda con un certo scetticismo alle mosse del governo Meloni su Pnrr, contrasto all’evasione fiscale e norme sulla concorrenza.
Per ora la manovra di bilancio è giudicata soltanto in parte coerente con i traguardi fissati da Bruxelles.
Nel suo primo viaggio europeo da presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha raccolto, se non consensi, quanto meno una buona impressione. A Bruxelles, davanti a occhi e orecchie attenti, la premier ha spiegato che il suo esecutivo era intenzionato a predisporre un decreto sul sistema di gestione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
A quasi un mese di distanza il decreto ancora è nel limbo. Ieri però si aggiunto un altro particolare a Roma, durante un incontro con la Commissione Ue. Si tratta di un dettaglio relativo a Raffaelle Fitto, ministro (senza portafoglio) per gli Affari europei. Al suo ministero fa capo la gestione dei 200 miliardi del Pnrr, oltre che dei fondi di coesione. Non avendo proprie strutture articolate, essendo un dicastero senza portafoglio, Fitto dovrà fare assegnamento sul Servizio centrale per il Pnrr della Ragioneria generale dello Stato (guidato da Carmine Di Nuzzo). Dalla presidenza del Consiglio Fitto dunque si appoggerà direttamente su parti del Mef.
Bruxelles chiede riforme
Ma per il Pnrr servirà però qualcosa di più che un passaggio burocratico. Per sbloccare i fondi la Commissione vuole vedere le riforme. Un compito per nulla semplice, come ha mostrato il secondo incontro di ieri – in quelle stesse ore – ossia la Conferenza unificata con il ministro degli Affari regionali Roberto Calderoli, il sindaco di Bari e presidente dell’Associazione dei Comuni (Anci) Antonio Decaro e il presidente del Friuli Venezia-Giulia e della Conferenza delle regioni Massimiliano Fedriga.
In ballo c’era il più spinoso e divisivo dei 22 obiettivi fissati entro dicembre dal Pnrr per poter accedere ai prossimi 21 miliardi dell’Europa. Si tratta della bozza di decreto attuativo della Legge di concorrenza, eredità dell’esecutivo targato Draghi. A tema c’è l’obbligo di mettere a gara sul mercato i contratti del trasporto pubblico locale (a meno che un ente non riesca a dimostrarne l’impossibilità). Il decreto prevede che i Comuni debbano giustificare in maniera dettagliata e misurabile le loro decisioni ogni qual volta il servizio di trasporto pubblico locale viene assegnato senza gara a una società controllata.
Senza più Mario Draghi in sella al governo, Comuni e Regioni stanno sollevando un’infinità di problemi su quelle norme. Ieri Calderoli ha aperto a un «tavolo» che sa di opportunità per limare gli angoli delle riforme richieste dal Pnrr.
Perché la Ue è solo in parte soddisfatta della manovra
Tutti segnali che a Bruxelles piacciono poco. Così come la Commissione Ue non ha gradito l’innalzamento della soglia (60 euro) per l’obbligo di accettare i pagamenti digitali e del contante a 5 mila euro. Ovvero che vengano a cadere due dele quattro misure contro l’evasione alle quali l’estate scorsa era stata condizionata la tranche di 29 miliardi. Palazzo Chigi ha manifestato la disponibilità a cambiare le regole sui pagamenti con la carta, se la Commissione Ue dovesse chiederlo.
Ma i traguardi – misurabili nell’ordine dei miliardi – nel contrasto all’evasione fiscale rientrano nel patto sul Pnrr. E Bruxelles oggi pensa che la manovra di bilancio non vada nella giusta direzione in questo senso. Nemmeno le giustificazioni del nuovo governo sui ritardi ereditati convincono la Ue. Per ora la Commissione dunque designerà la manovra italiana come solo «parzialmente in linea» (solo il Belgio, tra i Paesi con alto debito, è nelle nostre condizioni). Nella pratica non cambierà molto, data la sospensione del Patto di stabilità. Ma il segnale giunto da Bruxelles è chiaro: il credito del nuovo governo non è illimitato.