Uno dei fondatori Cai a Ischia, Giovannangelo De Angelis, profondo conoscitore di quella montagna spiega l’«effetto valanga».
Dopo i fatti avvenuti in questi ultimi giorni sull’isola di Ischia, dove si è verificata una frana a Casamicciola Terme, causando morti e dispersi, Giovannangelo De Angelis, uno dei fondatori del Cai, come riporta Il Corriere della Sera, cerca di fare chiarezza in merito all’origine delle frane sull’isola.
De Angelis, per spiegare quello che è accaduto nei giorni scorsi, ossia la frana, va a ritroso, partendo dall’alluvione che si verificò nel 1910 e che causò, anche all’epoca, vittime e tutta una serie di danni. «Dalle fotografie scattate negli anni 30 si vedono chiaramente le opere ingegneristiche costruite dentro gli alvei naturali. Erano dei canali fatti di pietra lavica, le cosiddette briglie, che avrebbero dovuto dirottare l’acqua in modo da non colpire le case e le persone». Per un certo periodo, questo sistema ha avuto successo. «Ma se i canaloni, le briglie, si riempiono di foglie e di alberi viene meno quella funzione di drenaggio. Si formano così piscine di fango e di terriccio che con l’eccesso di peso dovuto alle piogge ad un certo punto crollano e innescano la frana. È lo stesso principio della valanga», ha spiegato De Angelis.
Il fango scende, facendo sempre lo stesso tragitto, spianato dalla natura. Ecco perché sarebbero sempre determinate zone a essere colpite. Casamicciola, situata sotto il monte Epomeo, è stata distrutta dal fango anche nel novembre 2010. Dal 1910, quindi, come spiega l’esperto, il problema non si è risolto: è necessario, infatti, impedire al fango di prendere velocità, e che dalle piogge scatti quel processo naturale che provoca un effetto valanga.
Come spiega ancora De Angelis, la storia di queste zone è anche legata alla toponomastica, in quanto non è un caso che la zona che sta un po’ più su di Casamicciola sia soprannominata zona del ‘pantano’. Moltissimi anni fa, queste erano terre coltivate, con terrazzamenti, in quanto fino agli anni ’60, l’economia di Ischia era fondata essenzialmente sull’agrucoltura. La produzione era quella di vigne e castagni. I terrazzamenti avevano un ruolo cruciale, cioè quello di rallentare il corso dell’acqua. Attorno ai castagni, i contadini creavano scavi per contenere l’acqua della pioggia.
Una ricerca dell’Università di Padova, messa a punto con il Cai, ha attestato che sull’isola ci sono oltre 2 mila km di terrazzamenti, ma il 70% sono abbandonati. Dove c’erano i terrazzamenti è ricresciuta la vegetazione mentre in determinate aree, a valle, sono state costruite case, come, per l’appunto a Casamicciola.
Il paradosso, spiega De Angelis a Il Corriere, è «che proprio quelle costruzioni hanno fatto da tappo, hanno svolto la funzione che avevano i terrazzamenti: hanno cioé rallentato la velocità del fango. Senza quelle case, l’effetto alluvione dei giorni scorsi si sarebbe come moltiplicato, e probabilmente avrebbe provocato danni maggiori».