Aveva paura che lo stato lo spiasse e minacciava sul lavoro l’attentatore che martedì ha portato a termine l’ennesima strage negli Usa all’interno di un supermercato Walmart.
Uno schema visto all’opera una infinità di volte in America che spinge gli esperti a parlare di un vero e proprio “contagio” psichico all’origine delle sparatorie.
Emergono nuovi particolari sulla personalità di Andre Bing, il killer 31enne che ha ucciso 6 persone – tra loro un 16enne – in un supermercato Walmart di Chesapeake, in Virginia. L’uomo lavorava lì come supervisore del turno di notte. Alle 22: 12 di martedì è entrato nel suo luogo di lavoro armato di pistola e ha aperto il fuoco quando mancava meno di un’ora alla chiusura.
Dopo aver compiuto la sua “missione” ha rivolto l’arma contro di sé e si è tolto la vita, come tanti altri stragisti. Una scena vista e rivista centinaia di volte negli Usa. Alcuni dei sopravvissuti raccontano che aveva avuto dei contrasti e temevano qualche suo gesto estremo. Come si è puntualmente verificato. In pochi attimi le paure si sono materializzate nella tragedia ,condannata dal presidente Joe Biden, che ha precipitato nel dolore e nell’angoscia una intera comunità, oltre che i familiari delle vittime.
Del resto il killer in passato aveva fatto trapelare segnali inquietanti. Lo descrivono come un tipo sempre brusco e aggressivo nell’impartire gli ordini. E soprattutto pieno di paranoie, convinto di essere spiato dallo stato. Per questa ragione aveva coperto la telecamera del cellulare con del nastro adesivo. Non gradiva che qualcuno girasse dei video. Un uomo solitario, senza amici. Era arrivato al punto di minacciare ritorsioni in caso di punizione o di licenziamento. “Cosa sapranno chi sono”, avrebbe detto.
Nel cellulare gli avrebbero trovato una lista di obiettivi e anche una sorta di “manifesto”, come spesso capita con gli stragisti in America. Nello scritto allude a una presunta forma di mobbing che avrebbe subito, punta il dito sull’amministrazione per avergli cambiato mansioni, parla di rapporti difficili.
Una strage arrivata dopo episodi analoghi, avvenuti in un lasso di tempo minimo. Come a confermare la tesi di alcuni esperti sull’effetto “contagio” – e non soltanto di emulazione. A un attacco ne seguono spesso altri, come se il killer si lasciasse ispirare dalle stragi. Qualche giorno fa c’è stato l’episodio che ha coinvolto dei giocatori di football di un’università della Virginia – 3 morti – e la strage in una discoteca gay in Colorado (altre 5 vittime) da parte di un 20enne con un’esistenza complicata alle spalle e alcuni precedenti che però non gli hanno impedito di procurarsi un fucile.
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