Ieri mattina una maxi operazione della polizia nel Milanese ha portato a 49 arresti. Gli arrestati sono accusati di ogni tipo di reato, dall’associazione a delinquere di stampo mafioso al traffico di droga.
Le forze dell’ordine hanno messo a segno un duro colpo alla famiglia Bandiera, il clan che ha preso il controllo di Rho.
Un nome in particolare è emerso nelle 1330 pagine dell’ordinanza della procura sulla locale della ‘ndrangheta a Rho. È quello di Caterina Giancotti, nata 45 anni fa a Triggiano (Bari). Il suo nome appare un’infinità di volte (ben 1054) nell’ordinanza. La procura, riferisce l’AGI, parla di lei come della “prima donna definita capo della ‘ndrangheta in Lombardia”.
“Vuoi che divento cattiva e divento cattiva”. “Allora vuoi fare lo stronzo e farò la stronza anche io”. Sono solo alcuni dei toni secchi e perentori usati abitualmente da Giancotti. Sopra di lei soltanto un uomo, il solo a cui rendere conto: Cristian Leonardo Bandiera. Giancotti, era la sua “persona di fiducia”. Sempre al suo fianco “nella direzione dell’organizzazione mafiosa coi compiti di decisione, pianificazione e individuazione delle azioni da compiere e delle strategie da adottare”.
La donna, incarcerata il 2 marzo 2021 perché sorpresa con 200 grammi di cocaina ritirati da una pregiudicata (di nome Francesca Curinga), aveva sotto di sé anche dei “sottoposti”.
Stando alle intercettazioni la sua “specialità” era quella del ‘recupero crediti’. Sì, ma attraverso “intimidazioni ed estorsioni” rivolte ai debitori.
Appare significativo in tal senso il colloquio con uno dei sottoposti: “Allora stasera devi portare i soldi della fattura di Giuseppe” (alza la voce). “Ma non è venuto quello…”. “Ho detto che devi portare tutto, non me ne frega un cazzo, sennò ti taglia la testa, è sul piede di guerra, regolati i passi …”. “Eh, lo faccio chiamare da Bruno”. “Tonino, troppe tarantelle”. “Ho finito adesso di parlare con…”. “E non me ne frega un cazzo”.
Una volta finita in carcere, l’organizzazione criminale avrebbe continuato a sostenerla nelle spese e nei bisogni. Intanto però nel frattempo “dall’arresto scaturiva una controversia sfociata in gravi minacce verbali, una sorta di preludio (come confermato dagli indagati) di una faida tra la famiglia Bandiera e Curinga”.
La famiglia Bandiera, infatti, “sospettando un tradimento da parte di Francesca Curinga hanno preteso la restituzione dei 5000 euro versati o quanto meno della metà della somma al fine di provvedere alle spese legali e al sostentamento della Giancotti”. La 45enne viene apprezzata dai Bandiera perché non ha fatto nomi in carcere. Invece da Domenico Curinga arriva l’attacco: “Dopo l’arresto si è permessa di dire, tramite messaggi, che avrebbe mandato in galera tutti, ha fatto i comodi suoi e ora mi dice che mi manda in galera… ”.
Soltanto in una occasione Caterina Giancotti ricorda il suo essere donna. È quando, parlando del suo ruolo in un’operazione di traffico di droga, sottolinea che il suo apporto sarebbe stato favorito dal fatto che più difficilmente le donne vengono sottoposte a perquisizione.
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