Nella notte sono state eseguite decine di perquisizioni per l’inchiesta su presunte violenze avvenute fino a pochi mesi fa.
Indagati diversi agenti della polizia penitenziaria e funzionari del carcere. Tra le ipotesi di reato anche la tortura.
Detenuti rinchiusi in celle apposite, umiliati e picchiati senza poter nemmeno vedere i propri legali. È un’accusa grave quella che pende sulle spalle di diversi agenti della polizia penitenziaria del carcere di Ivrea. Sono finiti sotto indagine per tortura. Insieme a loro sono indagate anche altre persone, tra le quali medici, educatori e direttori-pro tempore. In tutto sono 45 i soggetti coinvolti nell’indagine dove vengono contestati anche altri reati come il falso in atto pubblico.
Per la procura di Ivrea le violenze sarebbero proseguite malgrado le indagini della Procura Generale relative a fatti risalenti al 2015. Episodi per i quali già erano finite indagate 25 persone. Sempre per pestaggi ai detenuti consumati nello stesso carcere di Ivrea. Per questa ragione la notte scorsa, uomini del Nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria, del comando provinciale dei carabinieri di Torino e della guardia di finanza di Torino hanno eseguito 36 perquisizioni domiciliari, dopo aver notificato altrettante informazioni di garanzia. Le perquisizioni hanno avuto luogo nella casa circondariale e nelle case private degli indagati.
Dalla nuova indagine sono emersi molti fatti relativi agli anni successivi al 2015, già finiti sotto la lente della Procura Generale. In particolare sono venuti alla luce svariati episodi accaduti negli ultimi due anni. In alcuni casi anche recentissimi, si parla dell’ultima estate. Attualmente gli indagati sono 45. Si tratta di agenti della polizia penitenziaria, di medici in servizio presso il carcere di Ivrea, oltre che di funzionari giuridico pedagogici e di direttori pro-tempore.
Si ipotizzano i reati di tortura con violenze fisiche e psichiche nei confronti di numerosi detenuti, falso in atto pubblico e reati collegati. A giudizio degli investigatori, coordinati dal pm Valentina Bossi, le indagini svolte fino a questo punto hanno permesso di mettere assieme precisi, oggettivi e gravi elementi probatori. Le prove raccolte sostanziano le denunce arrivate alla Procura in questi anni (presentate da alcuni detenuti).
Gli investigatori così sono riusciti a individuare la cosiddetta “cella liscia” e il cosiddetto “acquario”. Si tratta delle celle dove si consumavano le violenze a danno dei detenuti, picchiati e rinchiusi in isolamento senza poter contattare nessuno, neanche i propri difensori. Inoltre i reati risultavano essere ancora in atto, cosa che ha reso inevitabile l’intervento degli inquirenti. Le indagini vanno avanti, per meglio definire le responsabilità individuali e verificare l’eventuale esistenza di altri episodi di violenza a danno dei carcerati.
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