Il deputato è al centro delle polemiche per le presunte irregolarità nelle cooperative di migranti gestite della moglie e dalla suocera. Soumahoro non è coinvolto nell’inchiesta, anche la moglie lo difende e dice che la questione si sgonfierà presto.
Prova a difendersi dalle polemiche Aboubakar Soumahoro dopo le accuse nei confronti della moglie Liliane e della suocera Marie Terese di presunte irregolarità nella gestione delle cooperative Karibu e Consorzio Aid nell’inchiesta aperta dalla procura di Latina per pagamenti mancati ai cooperanti e condizioni indecenti nei centri d’accoglienza dei profughi.
“Non voglio eludere le domande, ma non avendo vissuto nulla di questa vicenda finirei per fare un’informazione approssimativa con un’indagine della Procura in corso” afferma il parlamentare che in questi giorni si è rivolto spesso ai suoi elettori tramite i suoi frequentatissimi profili social. “Mia moglie è attualmente disoccupata. Non ha nessuna cooperativa. E quando l’ho conosciuta già lavorava nel mondo dell’accoglienza. Quando vorranno sentirla, fornirà tutti i chiarimenti” continua nella difesa della sua famiglia e di conseguenza di sé stesso. “Io è 22 anni che sto in strada se non sei pulito in strada non cammini. Il fango mediatico non ci fermerà. Alla fine si chiarirà tutto” dice.
“Io ero in Calabria da prima del 2018, è ventidue anni che sto in strada, ho dormito in strada a Napoli, se non sei pulito per strada non cammini. Chi parla oggi dov’era?” afferma Soumahoro. La giustizia farà il suo corso, lui non è direttamente coinvolto nell’inchiesta e le persone accusate sono innocenti fino a prova contraria, ma il problema è ormai esploso e la sua figura appare decisamente compromessa da quella di difensore dei diritti dei migranti.
“Sono molto preoccupato. Non sottovaluto questi attacchi mediatici. Ma, a chi vuole seppellirmi politicamente, dico: mettetevi l’anima in pace, il fango mediatico non ci fermerà” continua davanti a un giornalista. Spiega di essere per “un sovranismo internazionale solidale” ma non entra nello specifico della discussione, avendo ormai compreso dal mondo della politica come parlare senza afferma nulla di concreto. “Non appartengo alla politica liquida – dice -, ho un’identità: sono la voce di 600 mila italiani che non riescono a curarsi. Non tentate di zittirmi!“.
Parla anche la moglie di Aboubakar affermando che nella cooperativa Karibu da lei gestita, nata nel 2000 nell’agro pontino e arrivata a gestire oggi 600 posti letto divisi tra Sprar e Cas “tutto è stato speso per i rifugiati, a cui ho dedicato 21 dei miei 68 anni. Tutto è rendicontato e posso provarlo“. E in difesa del marito “lui non si è mai interessato alla coop, né al Consorzio Aid di cui fa parte Karibu. In famiglia non ne parliamo mai“.
La suocera del deputato spiega che i ritardi nei pagamenti dipendono dagli appalti e che il genero non c’entra nulla: “Non abbiamo soldi da dargli perché lo Stato non ci paga in tempo. Ho i bonifici con le date e una lettera di sollecito della prefettura al comune di Roccagorga che ci deve 90 mila euro. Quello di Latina 100 mila. Per il progetto ‘Perla’ contro il caporalato ci hanno dato la metà degli 80 mila dovuti, da quello sull’8 per mille del 2019 abbiamo ricevuto 80 mila su 157 mila solo nel 2022. Siamo andati in cassa integrazione, non ci dormivo la notte“.
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