Frequentatore dei bossi della Capitale, consumatore assiduo di droga, infine il crollo e la galera. Giandavide De Pau oggi è accusato di essere il serial killer di Prati, nella sua vita era stato un esponente delle malavita e un trafficante di stupefacenti.
Un uomo di un altro pianeta. Così si definiva Giandavide De Pau, la persona fermata la scorsa notte per l’omicidio di tre donne nel quartiere Prati di Roma. Un ragazzo molto inserito nell’ambito del sottobosco illegale della Capitale, soprattutto per i suoi rapporti con i boss romani come Michele Senese, una cosa di cui amava vantarsi da anni. Origini calabresi, così come la sua cosca, era nel giro della droga a Roma con affari per milioni di euro.
“Non stavo in mezzo a persone normali… parlavo… c’avevo il lavoro mio… stavo proprio su un altro pianeta, con la gente… cioè facevo tutto, pigliavo di là… facevo favori…” dice nelle intercettazioni risalenti al 2014. Fino a quando le cose andarono storte, l’arresto di “Zio Michele“, finito in carcere insieme ad altri esponenti della malavita, ne aveva ridotto il prestigio e anche il giro di denaro nel quale era inserito. “Io sai perché sono cascato in disgrazia? Non è per aiutare la gente… a me mi sono andati carcerati due, tre, quattro persone che per davvero hanno fatto la storia al mondo – diceva -. Io c’ho quell’amico mio quello che sta latitante… Quelli sono gente con una batteria che c’hanno i coglioni così … quelli c’avevano vent’anni, contavano due miliardi a settimana aho’… eh calabrotti doc, milioner“.
Davide il Biondo lo chiamavano, aveva avuto rapporti addirittura con Massimo Carminati e frequentava il benzinaio di Corso Francia da dove lavorava nel business degli stupefacenti. “Ne è arrivata un’altra, ma vogliono di più… 4-3, 4-3… domani vogliono i soldi… è buona questa” diceva di una partita di cocaina da oltre 43mila euro chilo con un intermediario. “È buono, ammazza… Non sembra rifatta, vedi, un po’ già appiccica… ma 4-3” afferma tentando di mediare sul prezzo.
LA DISCESA FINO AL BARATRO
“A me ultimamente mi ha deluso — diceva uno dei colonelli di De Pau —, ha dato troppa confidenza a troppa accozzaglia, incominciando da quello, Giandavide“. Alla fine il rapporto idilliaco con i boss romani si va a concludere. Da quel giro, dopo il prestigio e il denaro, De Pau ne otterrà anche la prigione e un processo per diversi reati da lui commessi. Fino al giorno della liberazione in cui si accorge però che il mondo per lui non è più lo stesso, tutto si è ridimensionato o addirittura finito e di quella bella vita condotta fino a qualche anno fa è rimasto molto poco.
Troppi gli arresti di persone che lavoravano con lui, come spiegano i pubblici ministeri della Procura antimafia di Roma nell’ultima richiesta di arresto, i quali “hanno consentito di dimostrare la continua operatività di De Pau nel settore del narcotraffico, grazie anche alle relazioni con i maggiori referenti delle principali consorterie criminali operanti nella Capitale“.
Persino la sorella Francesca parlando con lui si rende conto delle difficoltà, come si evince da quando viene intercettata: “Mi spieghi che avrei dovuto fare? Famme mantené da mio fratello che vende cocaina, eh? Ce l’lo la dignità, anche se poi non sembra ce l’ho“. La donna si accorge che Davide possa essere coinvolto in qualcosa di anche peggiore quando viene diffusa la notizia degli omicidi delle tre donne. “Credo abbia fatto qualcosa di grave” dice.