Sono passati esattamente sette anni da quel 13 novembre 2015 che ha precipitato la Francia nella spirale del terrore, con una sequenza di attentati terroristici a Parigi.
In poche ore la capitale francese è diventata il teatro di sei sparatorie in bar e ristoranti degli arrondissement più centrali. Ma ci furono anche le tre deflagrazioni vicino allo Stade de France e l’attacco alla sala concerti del Bataclan, che da solo portò alla morte di 90 persone.
Sette anni sono passati da quelle stragi che lasciarono dietro di sé una scia di sangue. La Francia ha cercato di risollevarsi per punire gli autori degli attentati del 13 novembre. Un maxiprocesso ha così prodotto la condanna di Salah Abdeslam, l’unico superstite del commando terroristico entrato in azione quella notte, e di altre 18 persone.
“Il processo ha avuto una funzione essenziale anche per noi dal punto di vista civile, pubblico e di giustizia. Sul fronte privato niente passerà mai”. A pronunciare queste parole è Luciana Milani, la mamma della ricercatrice italiana Valeria Solesin, uccisa assieme alle altre vittime del Bataclan.
Interpellata dal Corriere della Sera, la madre della ricercatrice ha raccontato di non poter dimenticare quanto accaduto quella notte. “Per noi questo capitolo non sarà mai chiuso – ha detto –. Il processo però ha avuto la funzione di dare fine al capitolo pubblico e i sopravvissuti ne avevano bisogno, così come i parenti delle vittime e lo Stato. Tutta la Francia è passata attraverso un momento catartico”.
Una perdita incancellabile
La donna ha assistito alla lettura della sentenza nella maxi-aula del processo per le stragi del 13 novembre. “Ho passato a Parigi diversi mesi – ha sottolineato – e sedere in quell’aula mi ha aiutato ad avere una nuova consapevolezza di questi fatti terribili, almeno dal punto di vista sociale. La sentenza, per quanto consolatoria, non ha avuto per me alcun valore dal punto di vista personale: Valeria non c’è più e nulla può cambiare tutto questo, ma dal punto di vista pubblico ha avuto un grande significato”.
C’è indubbiamente soddisfazione da parte sua per le pene esemplari per i responsabili della mattanza. Anche se riconosce che il pm transalpino aveva chiesto per loro punizioni anche più dure. “La sentenza però è stata ben ponderata, mi è parsa comunque molto equilibrata anche se alcune aspettative sono state disattese. Alcune famiglie desideravano un migliore accertamento dei fatti, ma non è certo colpa di chi ha lavorato al caso. La mancanza di dettagli è dovuta al fatto che molti imputati non hanno parlato. Per il resto sono stati molto veloci e questo ha un valore, perché ha dato la possibilità a vittime e familiari di avere una risposta pubblica in tempi coerenti”.
Il probabile senso di colpa di Salah Abdeslam
La madre di Valeria Solesin ha parlato anche di Salah Abdeslam, il principale imputato del processo. L’unico ancora in vita dei terroristi islamici che facevano parte del commando assassino. “Ha scelto di parlare solo alla fine del processo e ha ricevuto la pena più dura dalla legge francese. Durante il dibattimento non ha dato alcuna collaborazione e ha fatto affermazioni puerili. In ogni caso, non ha voluto fare ricorso e questo secondo me è indicativo del suo senso di colpa”.
Malgrado la condanna, è incancellabile però il dolore per la perdita della figlia, che si trovava a Parigi per ragioni lavorative. “Dobbiamo fare i conti con la sua morte tutti i giorni – ha raccontato la mamma di Valeria –. Alla fine per noi il 13 novembre non è così diverso da tutti gli altri giorni. Si tratta di un anniversario significativo, ma per noi è una quotidianità. Cerchiamo solo di affrontare tutto nel migliore dei modi ogni giorno”.