La Capitale sarebbe al centro degli interessi della malavita organizzata, da Roma parte una operazione delle forze dell’ordine che ha portato a scoprire una cosca. Il business del crimine organizzato nel settore agroalimentare a raggiunto cifre da capogiro.
Arresti in tutta in Italia durante una mega-operazione della Dia, la Direzione Investigativa Antimafia, che ha portato agli arresti di 26 persone nelle città di Roma, Cosenza, Agrigento e nel Lazio accusate di associazione per delinquere di stampo mafioso e di essere affiliati all’ndrangheta. Sotto le loro mani era finito il controllo di varie attività economiche tramite l’infiltrazione mafiosa la quale utilizzava dei prestanome per la loro gestione. Si parla di diversi esercizi commerciali come pasticcerie, pescherie, panifici, ritiro pelli e olii esausti, ristoranti .
Secondo la ricostruzione delle forze dell’ordine e dalle prime indagini la cellula partirebbe proprio dalla Capitale. Il “tesoro” conservato dall’organizzazione criminale e sottoposto a sequestro si aggirerebbe intorno ai 100 milioni di euro, divisi in 25 società anch’esse sottoposte a sequestro. Tra le accuse nei confronti degli arrestati ci sarebbe anche sequestro di persona e intestazione fittizia di beni. A capo della cosca ci sarebbero Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro, esponenti della famiglia mafiosa di Cosoleto, comune in provincia di Reggio Calabria.
L’ALLARME DI COLDIRETTI
Secondo quanto sostiene Coldiretti, il danno provocato dal settore agroalimentare italiano da parte delle organizzazioni mafiosi super i 24,5 miliardi di euro. “La criminalità comprende la strategicità del settore in tempo di crisi economica perché – spiegano da Colrdiretti – consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile e condizionare la via quotidiana delle persone. Non solo si appropriano di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani ed il valore del marchio Made in Italy“.
“Con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione le agromafie – continua l’associazione – impongono l’utilizzo di specifiche ditte di trasporti, o la vendita di determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della mancanza di liquidità, arrivano a rilevare direttamente grazie alle disponibilità di capitali. Un fenomeno che –conclude l’organizzazione agricola – minaccia di aggravarsi ulteriormente per gli effetti del caro prezzi provocato dalla guerra in Ucraina, la quale potrebbe spingere le imprese a rischio a ricorrere all’usura per trovare i finanziamenti necessari“.