Secondo le organizzazioni non governative le autorità avrebbero vietato il funerale per non rinfocolare la mobilitazione contro il velo.
Ma il regime sembra sempre più in difficoltà davanti a quella che forse è la più grande sfida da quando è al potere in Iran.
Ancora una giovane donna uccisa dalla polizia iraniana. Si tratta – ha reso noto l’associazione per i diritti umani Hengaw – della studentessa curda Nasrin Ghadri di Marivan. È morta sabato dopo essere stata colpita alla testa dai poliziotti. Nuove proteste scuotono le università dell’Iran e il Nord del Paese, a maggioranza curda, dopo la morte della giovane.
Secondo l’associazione umanitaria, la ragazza è stata sepolta all’alba senza funerali. Le autorità hanno negato il permesso alla cerimonia funebre per il timore che il caso alimentasse ulteriormente il movimento di protesta nato sette settimane fa dopo la scomparsa di Mahsa Amini, la 22enne curda finta in coma e morta dopo essere stata presa in custodia dalla “polizia morale”. La giovane era finita agli arresti perché accusata di non indossare correttamente il velo. Ancora non è stata divulgata una versione ufficiale della morte di Nasrin Ghadri.
Stando a quanto riporta Hengaw, associazione che ha sede in Norvegia, le forze di sicurezza iraniane hanno sparato sui manifestanti a Marivan. E hanno ferito 35 persone. Sui social sono circolate immagini che fanno vedere i manifestanti che lanciano pietre contro un palazzo dell’amministrazione pubblica e bruciano la bandiera iraniana. I dimostranti, incluse le donne senza velo, hanno marciato per le strade Marivan. Le autorità hanno mandato i rinforza nella zona delle proteste e i rumori dei proiettili si sono sentiti in tutta la città al tramonto.
La minoranza curda e le università trascinano la protesta
Le regioni a maggioranza curda, della quale la stessa Amini faceva parte, sono state il brodo di coltura della protesta assieme alle università. Iran Human Rights (IHR), organizzazione che a sua volta ha sede in Norvegia, ha reso noto che gli studenti della Sharif University di Teheran hanno organizzato ieri sit-in di solidarietà coi colleghi arrestati. Nel frattempo gli studenti dell’università di Babol, nel nord del Paese, hanno rimosso le barriere che in mensa separavano gli studenti per genere sessuale, spiega Ihr. Stando alle stime di questa associazione, finora la repressione governativa ha portato all’uccisione di almeno 186 persone in quella che è forse la più grande sfida di sempre per il regime teocratico che governa l’Iran dal 1979.
Dal 30 settembre alle mobilitazioni dopo la morte di Amini si è aggiunta un’altra per le autorità. Sono scoppiate infatti proteste nella provincia del Sistan-Baluchistan, a maggioranza sunnita. Lo scorso venerdì, sempre secondo Ihr, almeno 16 persone sono state colpite a morte dai proiettili sparati dai poliziotti a Khash, durante le agitazioni esplose dopo la preghiera del venerdì.