Il summit internazionale per il contrasto al cambiamento climatico rischia di diventare un vero e proprio flop. Troppe le differenze tra i paesi, inoltre gli obbiettivi da raggiungere sono molto complicati.
E’ cominciata la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2022, più conosciuta come Cop 27, che sarà ospitata a Sharm El-Sheikh, in Egitto, dal 6 al 18 novembre. Al centro delle discussioni ovviamente le problematiche ambientali che mai come in quest’anno sono state evidenti e devastanti per il nostro pianeta, alla ricerca di quali possibili soluzioni mettere in campo del cercare un cambio di rotta.
Durante le prime fasi della conferenza sono subito apparse evidenti le evidenti le tensioni dettate dalla situazione politica del paese ospitante, in particolare per quanto riguarda i diritti umani, e per le conseguenze della guerra in Ucraina con le varie nazioni schierate in fazioni opposte.
GLI INVITATI
Si attende con ansia il vertice tra i leader dei paesi partecipanti previsto tra oggi e domani con il grande atteso ritorno del neo-riletto presidente del Brasile Luiz Inacio Lula, il quale attualmente è solo un invitato in quanto ufficialmente comincerà il suo mandato nel gennaio 2023. Joe Biden, Rishi Sunak, Giorgia Meloni, Xi Jinping e Vladimir Putin sono tra gli invitati, 125 nazioni in tutto con oltre 200 diplomatici e 40mila esponenti di Ong e società civile saranno presenti al summit. Tra i grandi assenti ci sarà Re Carlo III, su suggerimento del sul stesso governo, e l’attivista Greta Thunberg. “Non andrò alla Cop27 per molte ragioni, ma lo spazio per la società civile quest’anno è molto limitato” ha affermato la ragazza. Tra le polemiche c’è l’invito a partecipare da parte degli organizzatori a Coca-Cola, azienda tra le più inquinanti al mondo che da sola è responsabile del 10% delle bottiglie di plastica disperse, pari a tre milioni di tonnellate.
GLI OBIETTIVI
L’obiettivo del summit è quello di ottenere un impegno da parte di tutti i partecipanti per una diminuzione delle emissioni del 5% (in alcuni casi anche del 10%) entro il 2030. Il rischio, se fallito l’obiettivo, è che la temperatura globale subisca una innalzamento fino a 2,6 gradi entro il 2100 con gravissime conseguenze per la vita sul pianeta. Il Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha definito il summit “un test decisivo per ristabilire la fiducia tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo“, parlando di “imperativo morale” e di “necessità di agire“.
Per ottenere un innalzamento di “solo” 1,5 gradi, le emissioni dovrebbero essere ridotte del 45% rispetto ai livelli attuali. Le premesse sono molto alte e il rischio che gli accordi non siano raggiunti piuttosto certo. Non sono in discussione nuovi tagli alle emissioni o impegni concreti, ma solo questioni procedurali, tecniche, burocratiche e di regolamentazione di alcuni aspetti formali dell’accordo di Parigi.
I CONTRASTI
Se da un lato alcuni dei paesi più sviluppati cercano un accordo per ridurre l’inquinamento globale, dall’altro c’è il gruppo del G77 guidato, ovvero dei paesi in via di sviluppo e più poveri capeggiati dalla Cina, che cercherà di fare pressioni per ottenere fondi per il risarcimento e il sostegno alla transizione energetica. La presidenza egiziana ha presentato il vertice come “la Cop africana”, con l’obiettivo dichiarato di voler dare voce alla richiesta di giustizia climatica e di finanziamento per la transizione da parte dei 54 Stati del continente, responsabili di meno del 4% delle emissioni globali, ma regione tra le più flagellate da fenomeni meteorologici estremi.