Muore a 29 anni dopo il parto, la perizia: “Poteva essere salvata”

Rosa Andolfi muore a 29 anni dopo il parto, la perizia: “Poteva essere salvata”. I famigliari della giovane mamma, che aveva appena dato alla luce il suo secondo figlio, chiedono giustizia.

Un tragedia, quella che ha visto protagonista la giovane Rosa Andolfi, avvenuta nel 2020. La 29enne è morta nella notte tra il 19 e 20 febbraio, l’ospedale Villa Betania di Ponticelli, nella zona orientale di Napoli. Un decesso, il suo, avvenuto cinque ore dopo il parto del suo secondo figlio. Una tragedia sulla quale venne aperto un fascicolo di indagine, che venne però archiviata sulla base di una perizia redatta da quattro consulenti della Procura.

Rosa Andolfi muore a 29 anni dopo il parto - meteoweek.com-min
Rosa Andolfi muore a 29 anni dopo il parto – meteoweek.com

Secondo quanto viene riportato dalle agenzie, però, un secondo collegio peritale, nominato dal Tribunale, avrebbe puntato il dito contro la condotta dei sanitari che in quel momento erano con la donna in sala parto. Condotta, la loro, che avrebbe “determinato notevole perdita di chanches di sopravvivenza per la paziente“. In buona sostanza, “Rosa poteva essere salvata”.

I famigliari di Rosa Andolfi chiedono giustizia

Chiede a gran voce giustizia, la famiglia della giovane mamma. Rosa è infatti morta a soli 29 anni, dopo aver dato alla luce il suo secondo piccolino. Attraverso gli avvocati Amedeo Di Pietro e Alessandro Milo, i famigliari della vittima fanno sapere di essere in procinto di chiedere la riapertura delle indagini, con l’intenzione di presentare denuncia contro i consulenti della Procura. Ciò su cui si vuole far luce, del resto, è il motivo che ha portato i due diversi collegi peritali a presentare “conclusioni diametralmente opposte“.

Come ricordato dai legali, la 29enne soffriva di una lieve forma della sindrome di Tourette. La donna accusò un malore dopo aver partorito il suo secondogenito, accusando  un’improvvisa crisi respiratoria. La 29enne doveva essere intubata dai sanitari, che tuttavia preferirono operare una ventilazione non invasiva. Come spiegato dai consulenti nominati dal Tribunale, però, “questa condotta rianimatoria”, insieme alla “errata strategia ventilatoria” avrebbero “determinato notevole perdita di chanches di sopravvivenza per la paziente, che non ha potuto usufruire di una strategia terapeutica, e di una condotta ventilatoria, tali da offrire ampi margini di sopravvivenza/guarigione”.

Inoltre, differentemente da quanto è stato invece incluso della perizia precedente, la giovane mamma sarebbe rimasta in attesa per ben 4 ore (e non 2) prima di essere intubata, proprio mentre era ancora in preda alla crisi respiratoria. Ciò che chiedono dunque i due avvocati è “una Legge apposita e un risarcimento per danni punitivi”, il quale “accertamento è da rimettere al Giudice civile”, così come già avviene negli Stati Uniti.

Gestione cookie