Ieri il governo Meloni ha presentato la sua prima misura: un decreto legge che introduce nel codice penale il ‘reato di rave’.
Una stretta, arrivata sull’onda del raduno illegale di Modena, che prevede pene fino a sei anni per chi organizza (sanzionato anche chi soltanto partecipa), multe salate e la confisca dei mezzi.
C’è chi però manifesta preoccupazione per la decisione dell’esecutivo. Come Vinicio Nardo, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano. Interpellato dall’AGI, il presidente degli avvocati milanesi parla senza mezzi termini di un reato “pericolosissimo”.
A preoccupare è soprattutto, sottolinea Nardo, il contesto in cui è maturata la nuova norma, originatasi “sull’onda emotiva di un rave party in cui, tra l’altro non è successo niente di grave”.
Una normativa vaga e pericolosa
La pericolosità del reato di ‘invasione arbitraria di terreni o edifici’ introdotto col decreto presentato ieri dal governo Meloni proverrebbe dal fatto che “si gioca col fuoco poiché si parla genericamente di ‘invasione di edificio altrui’. Una genericità che potrebbe portare ad applicare il nuovo articolo del codice penale non per forza solo ai ravers “ma anche ad altri partecipanti ad assembramenti mettendo a rischio la libertà di riunirsi prevista dalla Costituzione”.
Ad ogni modo secondo Nardo non si tratta di una novità assoluta, ma di “schemi visti con tutte le forze politiche, mi viene in mente Renzi che nel suo primo discorso da premier invocò il reato di omicidio stradale quando sarebbero bastate le norme esistenti per disciplinare la materia, così come nel caso dell’occupazione abusiva di un edificio”.
La nuova norma, aggiunge l’avvocato milanese, “ha il requisito della vaghezza e mette a rischio il diritto costituzionale”. Bisognerà vedere, spiega, “se nell’applicazione pratica verrà chiesto l’intervento della Consulta”. Per Nardo c’è un “problema culturale” all’origine di questa legge, che sta nel fatto di essere nata “sulla montatura di un episodio che non ha provocato nessuno sgombero”.
Quella malsana inversione dei rapporti tra legge e giurisprudenza
Nardo plaude invece al rinvio della riforma Cartabia che dovrebbe consentire di scrivere le norme transitorie necessarie per la sua applicazione. Non si può pensare, come spesso avviene, che sia “la giurisprudenza a dire come si applicano le leggi”, sottolinea nell’intervista all’AGI.
Il presidente degli avvocati d Milano parla di “un’inversione del rapporto che non è accettabile”. Questo perché “in un sistema sano, la legge precede la giurisprudenza”, non viceversa. Occorre entrare nell’ottica di scrivere le norme mancanti. In caso contrario, conclude Nardo, questa “sarebbe una partenza ‘a gambero’ per la nuova classe politica”.