Rudy Guede si racconta: «Non ho ucciso io Meredith, ma non finirò mai di pentirmi di averla lasciata lì a morire»

Rudy Guede si racconta per la prima volta dopo essere ritornato in libertà. E torna ovviamente sul delitto di Meredith Kercher.

L’ivoriano, unico condannato per quella vicenda, continua a proclamarsi innocente anche se non nega di aver commesso degli errori quella sera.

Da un anno Rudy Guede, l’unico condannato per l’omicidio di Meredith Kercher a Perugia, è uscito dal carcere. Guede, che adesso ha 35 anni, alla mattina lavora al Centro Studi Criminologici di Viterbo, il pomeriggio e la sera fa il cameriere in pizzeria. Da poco ha fatto uscire un libro col giornalista Pierluigi Vito: «Il Beneficio del dubbio», nel quale mette in fila tutta la sua esistenza. Quanto all’uccisione di Meredith, Guede professa ancora la sua innocenza anche s ammette di aver avuto un comportamento colpevole.

Interpellato dal Corriere della Sera, Guede ritorna inevitabilmente su quella sera del primo novembre 2007, quando la studentessa inglese Meredith Kercher viene uccisa a Perugia nella casa che condivideva con Amanda Knox. Per quel delitto sarà condannato solo l’ivoriano Rudy Guede che per la prima volta si racconta dopo essere uscito dal carcere, grazie agli sconti di pena, il 22 novembre del 2021.

Il 35enne non nega di essere stato presente in quella casa. «Io c’ero in quella casa, chi lo nega? C’erano le mie tracce sul luogo del delitto, certo. Mica stavo fermo in un angolo. Ero con Meredith, ci siamo scambiati effusioni, abbiamo avuto un approccio sessuale, sono andato al bagno, ho provato a fermare il sangue che le usciva dal collo… Ovvio che ci fossero le mie tracce in giro. Ma l’ho detto quando credevano che mentissi per evitare la condanna, lo ripeto più che mai adesso che ho finito di pagare il mio conto alla Giustizia: io non ho ucciso Meredith».

Guede e quegli interrogativi sulla sua condanna

Nel libro, sottolinea Guede, si spiega come si sia arrivati all’accusa e alla condanna per omicidio e violenza sessuale. Ma la sostanza, dice al giornalista del Corriere, «è che è stato trovato il mio dna. Dna, non sperma». Nelle sentenze di condanna, insiste l’ivoriano, c’è scritto «in concorso con Amanda Knox e Raffaele Sollecito, e nessuno dei giudici mi ritiene autore materiale del delitto». Il fatto è che poi i due vengono assolti. Dunque la domanda di Guede è: «Allora io chiedo: con chi ho concorso? Hanno respinto la revisione del mio processo ma è un controsenso logico. La giustizia italiana dice che ho compiuto un crimine con due persone specifiche ma non come autore materiale; loro escono di scena, quindi il carcere lo sconta una persona che non si capisce di cosa sia colpevole e con chi».

Una condanna impossibile. O forse una condanna ideale. Il capro espiatorio perfetto, suggerisce Guede: «il negretto senza famiglia, senza spalle coperte, senza un soldo…». Il problema è che Guede è scappato dal luogo del delitto, dicendo anche cose contraddittorie. Ma lui replica: è stata la paura a prendere il sopravvento. E così, aggiunge, «sono scappato come un vigliacco lasciando Mez forse ancora viva». Una cosa di cui «non finirò mai di pentirmi», ammette Rudy Guede. «Ma avevo 20 anni – conclude – e avevo davanti una ragazza agonizzante, l’ho soccorsa ma poi la mente è andata in tilt. Magari sarebbe morta lo stesso ma non aver chiesto aiuto resta la mia grandissima colpa».

Infine un pensiero per i genitori di Meredith. Guede racconta di aver provato a contattarli con una lettera e di aver fatto pervenire alla madre, anche di recente, un altro messaggio «per dirle ancora una volta del mio dispiacere per Mez e che le mie mani si sono macchiate di sangue, sì, ma soltanto per soccorrerla». Un giorno vorrebbe incontrarla, racconta il 35enne.

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