Cresce il fenomeno delle immagini dell’orrore condivise sulle chat dei giovanissimi: l’indagine della polizia postale porta alla luce una realtà inquietante.
Attraverso il telefono cellulare, regalato magari per la prime comunione, i giovanissimi rischiano di finire nel vortice delle chat di WhatsApp, Instagram o Telegram. Dove circola letteralmente ogni cosa, a partire dalle immagini più atroci.
Sticker e meme che inneggiano al nazismo o al fascismo, svastiche, immagini di cadaveri e di vittime di guerra, bimbi abusati sessualmente e di animali seviziati. Sono solo alcuni de contenuti che circolano sulle chat di bambini dai 10 ai 13 anni e per le quali la polizia postale di Roma riceve due denunce al mese. Lo ha raccontato ieri l’edizione romana di repubblica: nell’inchiesta di Pescara sui sette adolescenti denunciati per aver condiviso immagini di bambini di 3 o 4 anni vittime di violenze sessuali due sono di Roma. Uno è figlio di genitori pregiudicati, l’altro di un bancario e di un’impiegata comunale.
Quella avviata a Pescara lo scorso è una delle indagini più corpose e cerca di far luce su 5 chat in cui confluivano almeno 700 minorenni.
Incapaci di distinguere tra lo scherzo e il reato
Le terribili immagini vengono postate nei gruppi attraverso WhatsApp, Instagram o Telegram, le app abitualmente usate dai giovanissimi, anche bambini delle elementari: «Per loro quello è tutto un gioco, una sfida. Non comprendono quale sia il confine tra lo scherzo e il reato», spiega un investigatore a Repubblica. «Si tratta spesso della chat di classe che poi viene allargata ad altri componenti», aggiunge.
I genitori si accorgono di quei messaggi proibiti che circolano anche sulle chat della scuola calcio o della palestra. La prima segnalazione viene fatta alla preside della scuola, poi parte la denuncia alla polizia e l’iter in procura. «Si tratta di bambini non imputabili. Ma le indagini vanno avanti per scovare se ci sono gli adulti dietro quel frenetico scambio di messaggi».
Il fenomeno degli scambi di sticker e meme coinvolge prevalentemente la fascia dei ragazzini fino ai 13 anni. Dopo si sale d’età e di livello. Nel caso dei più grandi si arriva fino a una decina di denunce al mese, in particolare per il cosiddetto sexting (ovvero l’invio in rete di video o foto intimi). Dal sexting si giunge poi facilmente al revenge porn (o alla sextorsion), cioè alla minaccia di rendere pubbliche le immagini a luci rosse. Spesso le vittime – soprattutto ragazzine – si presentano alla polizia accompagnate dai genitori.