Caso Mara Cagol, ripartono le indagini: è caccia al terrorista che riuscì a scappare. Interrogati gli ex brigatisti, l’esposto che ha fatto riaprire il caso.
Risale al novembre scorso l’esposto presentato dal figlio di Giovanni D’Alfonso, carabiniere che venne ucciso in un conflitto a fuoco durante la liberazione di Vittorio Vallarino Gancia, il re dello spumante, sequestrato dalle Brigate Rosse. A depositarlo in Procura a Torino l’avvocato Sergio Favretto. Si tratta di un documento basato su alcune ricerche effettuate negli archivi di Stato, nelle segrete dei tribunali e tra i documenti della commissione Moro.
Nella stessa sparatoria, avvenuta il 5 giugno del 1975, perse la vita anche Margherita “Mara” Cogol, la brigatista di 30 anni a capo della divisione torinese. A prendere parte al conflitto, e a uccidere i due, sarebbe stato un terrorista, rimasto latitante, senza volto e senza nome per ben 47 anni. Nel corso di tutti questi anni si sono fatte varie ipotesi sulla sua identità.
Con l’esposto presentato da Bruno d’Alfonso, oggi anche lui carabiniere per seguire le orme di suo padre, si sono dunque riparte le indagini. “Si tratta di una questione di giustizia e di verità storica. Anche per onorare la figura di mio padre, un eroe che diede la vita per le istituzioni”, aveva raccontato l’uomo. E ora è svolta sul caso.
Svolta sul caso Mara Cagol, trovati indizi e materiale genetico
Fondamentali nel corso delle indagini un’impronta e del Dna ritrovati a distanza di anni sui reperti sequestrati nella cascina Spiotta (Arzello). Luogo, quello, in cui nel giugno 1975 era stato tenuto sotto sequestro l’imprenditore vinicolo Vallarino Gancia.
Svolta nelle indagini, riaperte dalla Procura di Torino sull’omicidio dell’appuntato Giovanni D’Alfonso e della brigatista Mara Cagol, moglie di Renato Curcio e capo delle Br torinesi. La spinta è stata data dal materiale genetico e dalle tracce biologiche che, attraverso analisi sofisticate, i carabinieri del Ris sono riusciti ad estrapolare. All’epoca dei fatti, questi indizi erano sfuggiti a causa della mancanza di tecnologie adeguate.
Con quanto raccolto finora, dunque, sarà possibile passare al setaccio un archivio di profili in possesso delle forze dell’ordine, e avviare così la caccia all’uomo. Sulla vicenda, sono state raccolte anche le testimonianze di alcuni degli ex appartenenti alle Brigate Rosse, interrogati proprio recentemente a Milano.