A quanto ammonta lo stipendio di un ministro della Repubblica italiana? Più o meno di un parlamentare? E quanti sono i ministri? Ecco le risposte ad alcune domande sulla politica.
Stando a quanto è scritto nell’articolo 92 della Costituzione italiana, “i ministri della Repubblica compongono il Governo e fanno parte del Consiglio dei ministri insieme al Presidente del Consigli. I ministri sono funzionari onorari dello Stato: pur essendo retribuiti per questa loro funzione, non svolgono la loro attività come professione“.
I ministri inoltre sono nominati dal Presidente della Repubblica su indicazione del Presidente del Consiglio e devono ricevere la fiducia dei due rami del Parlamento per potere svolgere le loro funzioni. Il loro numero è vario ed è stabilito dal premier in base a quali dicasteri ritiene necessari ricoprire. Nel 1995, per esempio, Lamberto Dini scelse un Consiglio composta da “soli” 16 ministri, mentre Giulio Andreotti nel 1991 ne scelse addirittura 32.
Mario Draghi nell’attuale esecutivo ne ha voluti 25, ma il premier ha dichiarato di avere rinunciato all’indennità per il suo ruolo firmando una dichiarazione pubblica in cui afferma di “non percepire alcun compenso di qualsiasi natura connesso all’assunzione della carica“. Lo stesso fecero diversi componenti del suo governo, fa eccezione il ministro dell’Innovazione tecnologica e la Transizione digitale Vittorio Colao.
A differenza di quanto si possa immaginare, lo stipendio netto di un ministro della Repubblica italiana è piuttosto basso se paragonato a quello di un parlamentare. Se un senatore guadagna all’incirca 14mila euro al mese e un deputato 13mila lordi, lo stipendio di un titolare di dicastero si aggira sui 8.863 euro lordi al mese e se consideriamo le trattenute arriva a 4.500 euro netti. Se però il ministro è anche eletto senatore guadagna 14.634,89 euro al mese mentre un ministro deputato ne incassa 13.971,35. Per i presidenti delle Aule invece la cifra è circa di 16mila al mese.
Ma nel 2013 l’allora presidente del Consiglio Enrico Letta, sulla spinta populista degli stipendi dei politici animata dal Movimento 5 Stelle, decise di abolire il doppio stipendio per i ministri parlamentari e quindi la “non cumulabilità” tra lo stipendio da parlamentare e quello da ministro.
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