Bossi e i vecchi dirigenti del Carroccio vogliono tornare alla vecchia formula del partito a trazione nordista e sono pronti a far fuori Matteo Salvini. Il progetto di “nazionalizzazione” della Lega sembra destinato a concludersi.
Non si placano le tensioni all’interno della Lega dopo il deludente risultato elettorale delle elezioni che politiche che sebbene l’abbiano riportata al governo con la vittoria del Centrodestra, ha visto il partito raggiungere il minimo storico di consensi con circa l’8,8% dei voti, con un fallimento preoccupante soprattutto in quelle aree (come il Veneto) che di norma sono molto favorevoli al Carroccio.
Ad avvantaggiarsi del crollo sono stati gli alleati di Fratelli d’Italia, un partito che troppo assomiglia per temi e programmi alla Lega, ma che soprattutto nella figura di Giorgia Meloni è apparso più affidabile e convincente di un’ormai spento e ripetitivo Salvini ma anche di un progetto nazionale della destra italiana che il Caroccio sembra voler imitare.
Significativa in termini di consenso è la questione di Varese dove la Lega passa dal 29% del 2018 al 14% e che ha messo in serio rischio l’elezioni del fondatore Umberto Bossi, rientrato in Parlamento per un soffio dopo una combattuta verifica nell’assegnazione dei seggi. Nemmeno una settimana da quel momento ed proprio il Senatùr a stabilire lo strappo con il segretario Matteo Salvini fondando il Comitato del Nord, una vera e propria corrente all’interno della Lega che richiamano ai valori fondativi di quella che è stata la Lega prima di Salvini, ovvero la Lega Nord, un partito con chiare aspirazioni indipendentiste.
Bossi è il frontman di quella fetta di partito che in questi giorni si è lasciata andare a interviste, dichiarazioni e post sui social di duro attacco a Salvini, che ne chiedono le dimissioni e il ritorno alla Lega vecchio stampo. Del resto Bossi è anziano e di salute molto incerta, la sua figura è l’espressione di una ribellione alla svolta nazionale del partito e un tentato ritorno alla vecchia politica della Lega. Tra i dirigenti leghisti “ribelli” c’è anche l’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli il quale ha mestamente dichiarato al quotidiano La Stampa: “Preferisco il 5% del Nord guadagnato perseguendo politiche precise piuttosto che l’8% su scala nazionale ma senza una linea chiara“. A fargli eco è l’ex-governatore della Lombardia Roberto Maroni che dopo aver chiesto le dimissioni di Salvini ha proposto di supportare Luca Zaia al prossimo congresso del partito. Salvini ha annunciato che entro l’anno si terranno i congressi cittadini e provinciali della Lega e all’inizio del 2023 quelli regionali, a questi seguirà il congresso nazionale.
In una nota stampa pubblicata dal partito all’annuncio dell’apertura del Comitato si legge: “Dopo trent’anni di battaglie, questa sarà la legislatura che finalmente attuerà quell’autonomia delle Regioni che la Costituzione prevede. È nel programma del centrodestra, non costerà nulla anzi farà risparmiare milioni, avvicinerà i cittadini alla politica, taglierà sprechi e burocrazia. E il ministero per le Riforme e gli Affari regionali sarà protagonista di questa pacifica rivoluzione“. Un modo per ribadire la volontà di ritornare alla trazione nordista del partito.
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