In Italia c’è penuria di camici bianchi. Così gli ospedali per tamponare il problema devono appoggiarsi sulle cooperative.
Per sopperire ai buchi d’organico si ricorre ai medici gettonisti. Ma c’è da chiedersi se, come spesso accade, la toppa non sia peggio del buco.
A marzo, in un ospedale in provincia di Brescia, una giovane mamma è morta poche ore dopo aver fatto nascere il suo terzo figlio. Sul caso la Procura ha aperto un’inchiesta (7 i sanitari indagati). Pare infatti, riferisce il Corriere, che uno dei medici che aveva in cura la donna fosse al lavoro da 36 ore. Una circostanza resa possibile dal fatto che era un gettonista, dunque non vincolato a orari come i colleghi alle dipendenze di un ospedale.
Non è un caso isolato: sono migliaia i medici pagati a gettone che ogni giorno vanno e vengono dagli ospedali italiani. A ingaggiarli sono cooperative esterne alle quali le aziende sanitarie si rivolgono per tamponare i sempre più numerosi buchi dell’organico. Cooperative che arruolano i professionisti tramite i loro siti, ma soprattutto via chat con canali ad hoc su social come Telegram. E sono sempre loro, le cooperative, a vigilare sulla qualità dei medici che arrivano in corsia. Una vera giungla.
Essere chiamati a gettone, per un medico, significa essere pagati per un singolo turno (solitamente di 12 ore), in un contesto essenzialmente senza regole. Dove è possibile anche che un professionista lavori per 36 ore filate.
È fenomeno, quello dei medici gettonisti, che si diffonde sempre di più e che sta modificando a fondo la fisionomia degli ospedali italiani, che devono fare i conti con organici sempre più all’osso e scoperture. Un fenomeno che oltretutto grava sulle casse statali: per ogni gettone di presenza si può arrivare fino a 1.200 euro a turno, più della metà dello stipendio di uno specializzando in un intero mese.
Un fenomeno che ha molti padri
La carenza dei medici negli ospedali ha numeri impressionanti. Una situazione alla quale si è arrivati sostanzialmente per colpa di tre motivi, sottolinea il quotidiano di via Solferini.
1) Il blocco di 14 anni del turnover in Sanità (durato dal 2005 col Governo Berlusconi fino al 2019, quando il Governo Conte 1 ha aumentato del 10% le assunzioni).
2) Una programmazione miope, se non del tutto sbagliata, con contratti di specialità per anni al ribasso e mai calibrati per sostituire i medici che andavano in pensione. Dal 2015 al 2020 i medici pensionabili sono stati 37.800, e solo 24.752 i medici specializzati pronti all’entrata nel servizio sanitario.
Infine 3) c’è stato il vertiginoso aumento delle dimissioni volontarie dei medici ospedalieri, in particolare dopo il Covid. Un fenomeno causato da un generale scadimento delle condizioni lavorative, con turni sempre più massacranti e una conflittualità più pronunciata coi pazienti. Solo nel 2021 si sono licenziati 2.886: +3% rispetto all’anno precedente. Una tendenza che se confermata potrebbe portare a perdere 40 mila specialisti entro la fine del 2024 (tra medici pensionabili e licenziamenti volontari).