L’uomo è stato condannato poiché ritenuto colpevole del reato di deformazione permanente al viso e maltrattamenti. La coppia si era conosciuta sui social
Due giovani si sono conosciuti online, su un social network, come accade a molte persone. I due finiscono per innamorarsi in un “click”, e poi saltano tutte le tappe per andare a convivere in un paese nei pressi di Roma.
Ma il tanto agognato grande amore, nato su Facebook, diventa un vero e proprio “nightmare” per la ragazza, che proviene da Rieti. Ben presto l’uomo cambia pelle e diventa aggressivo, inizia a maltrattarla, lei deve sopportare i suoi comportamenti prepotenti, la obbliga a restare in casa, a leggere Bibbia e Vangelo e a farsi tatuare il suo nome sul viso.
Lui è un giovane di Roma di 41 anni. Il tatuatore era ignaro del fatto che l’uomo stesse costringendo la compagna. Ma quando le violenze si sono rivelate anche in pubblico, dove era volato qualche schiaffo, la vicenda è emersa e i carabinieri sono sopraggiunti. Era il dicembre 2019.
Da quel momento in poi, inizia una battaglia giudiziaria che ieri ha raggiunto l’ultimo grado, quello della Corte di Cassazione. E lì, i magistrati hanno confermato il carcere per il 41enne, che si è beccato, nello specifico, 6 anni e 8 mesi di prigione.
L’uomo sta scontando la condanna a Frosinone. Dato che la convivenza tra i due era stata sì breve, ma molto ‘intensa e stabile’, si è aggiunta anche la condanna per maltrattamenti in famiglia. E questo particolare ha consentito di perseguire d’ufficio il 41enne che l’ex fidanzata, per timore di ulteriori violenze, aveva scelto di non denunciare.
Lo hanno accusato, inoltre, di aver deformato il viso dell’ex compagna tramite «lesioni permanenti al viso». La Cassazione sottolinea che tale reato «sarebbe stato commesso inducendo in errore l’esecutore materiale di alcuni tatuaggi impressi al volto della vittima, circa la sussistenza del consenso di quest’ultima».
La Corte Suprema ha quindi rifiutato la richiesta dei legali della difesa che affermava che non era configurabile il reato di maltrattamenti, poiché «non vi sarebbe stato alcuno stabile rapporto di continuità familiare né alcun legame di reciproca assistenza per un apprezzabile periodo di tempo: la relazione tra i due sarebbe durata solo quattordici giorni». Ma la Cassazione ha ritenuto che invece, la relazione dei due anche se breve, era stata “intensa e stabile“.
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