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Cronaca

Uccise la moglie: liberato dopo 13 anni. La famiglia: “Non è pentito”

L’uomo ammazzò la moglie per poi inscenare un suicidio. Condannato, ora sarà in regime di semilibertà e offre un ridicolo rimborso alla famiglia della vittima. La madre: “La giustizia continua a prendere in giro chi ha subito”. 

L’aveva uccisa colpendola in testa con una pietra, oggi è tornato in libertà. Marco Manzini era stato condannato per il brutale omicidio della moglie Giulia Galiotto (allora 30enne) avvenuto a Sassuolo nel 2009, per il qual ricevette una pena di 19 anni e quattro mesi, ma l’uomo (che adesso ha 48 anni) è stato scarcerato e si trova in regime di semilibertà, in prova ai servizi sociali da febbraio. La scadenza della condanna è per il 2025, anticipata di tre anni rispetto al previsto.

L’OMICIDIO

L’11 febbraio del 2009 Marco Manzini incontra la moglie Giulia nella casa dei suoi genitori a San Michele dei Mucchietti, frazione di Sassuolo. Dall’incontro ne scaturisce una lite al termine del quale aggredisce la donna colpendola alla testa con una pietra nel garage dell’abitazione.

L’omicida tentò poi di nascondere il fatto, gettandolo nel fiume Secchia per inscenare un suicidio. Scrisse anche un falso biglietto di addio a confermare la sua innocenza. La sorella fu Giulia, Elena Galiotto, fu la prima a sospettare la messinscena. Oggi ha scritto sul suo profilo Facebook: “Ciao Giulia, oggi ho saputo che il tuo assassino è stato liberato. Ecco, il mio cervello ha davvero difficoltà a concepire questi due dati di fatto: tu non esisti più e il tuo assassino è libero“.

LE PAROLE DELLA MADRE

Della decisione del tribunale non sono per nulla soddisfatti i parenti di Giulia, informati tramite un lettera giunta dai legali del condannato, nella quale Manzini propone un versamenti di 600 euro l’anno a modo di risarcimento per la perdita. “Noi non accettiamo alcuna mediazione — dichiara Giovanna Ferrari, madre della vittima —, se Manzini mi vuole incontrare lo faccia per dirmi la verità e non le frottole che ha raccontato in tribunale. Noi non sappiamo dove sia e chi lo controlli, mentre lui sa tutto di noi. Metti caso che noi avessimo paura? Chi ci garantisce che questo individuo non ci venga a cercare?.

Dopo aver ammazzato nostra figlia Marco Manzini ci ha chiamato prendendoci in giro — afferma Ferrari —, abbiamo assistito alle schifezze che ha detto su di lei in tribunale e non ha mai mostrato pentimento“. E sul percorso giudiziario “È già stato fortemente aiutato e ora ci arriva questa lettera per metterci al corrente che, essendo lui in questa situazione di fine pena ma in misura alternativa alla detenzione, è tenuto a dimostrarsi ben disposto verso la famiglia della vittima. A noi non interessano i soldi, abbiamo scoperto che lavora a tempo indeterminato in un’azienda, quindi la giustizia continua a prendere in giro chi ha subito“.

LA LOTTA AL FEMMINICIDIO

Giovanna Ferrari, insegnante elementare in pensione, proprio dal giorno dell’omicidio della figlia, ha intrapreso un percorso di lotta al femminicidio. Ha pubblicato un libro dove racconta quanto accaduto a Giulia e la vicenda processuale che ne è scaturita, indagando sugli aspetti legati alla violenza maschile sulla donna.

Oggi scrive questa lettera aperta sulla sua pagina Facebook: “Signori Giudici, Signori della Corte, la giustizia terrena non mi tocca più. A quella divina tutt’al più lascio il compito di lenire le ferite inferte dalla giustizia terrena in chi sopravvive, suo malgrado. Sopravvive alla perdita di una figlia, una sorella, una madre per mano dell’uomo cui aveva dato fiducia. Sopravvive al supplizio di tre gradi di giudizio, all’umiliazione, al dolore aggiunto dell’assistere impotente allo scempio di quella figlia, sorella, madre, di cui , non paghi di averle orrendamente dilaniato il corpo, deturpato il volto, frantumato le ossa, si vuole dilaniare l’anima, deturpare il ricordo, frantumare l’ombra. Per esporla al pubblico ludibrio. Ecce mulier. E che sia di monito“.

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