Massimo Bossetti, condannato per l’omicidio di Yara Gambirasio, chiede di fare luce sul verbale del pubblico ministero.
Pesanti le accuse nei confronti del magistrato che ha rappresentato la pubblica accusa in tribunale, la cui posizione è già stata archiviata dalla procura di Venezia.
A inchiodare Massimo Bossetti, com’è arcinoto, è stato il Dna trovato sul corpo di Yara Gambirasio. La Cassazione ha reso definitiva la sentenza che indica in lui l’uccisore della 13enne di Brembate. Ma per Bossetti una speranza potrebbe arrivare dalle famose 54 provette che contenevano la traccia biologica mista della vittima e dell’assassino e spostate dal frigorifero dell’ospedale San Raffaele di Milano all’ufficio Corpi di reato del tribunale di Bergamo. Una speranza per Bossetti ma un imbarazzo per il pm Letizia Ruggeri, che a lungo ha seguito le tracce di “Ignoto 1”.
Sì, perché secondo la difesa di Bossetti – rappresentata dall’avvocato Claudio Salvagni – sarebbe proprio lei, chiedendo di spostare le provette, ad avere delle responsabilità precise. Lo spostamento, a detta del difensore di Bossetti, avrebbe interrotto la catena del freddo – i campioni erano conservati a una temperatura di 80 gradi sottozero. Così il Dna si potrebbe essere deteriorato. Rendendo di fatto impossibile ogni altra nuova analisi.
Lo spostamento delle provette sotto la lente della difesa
Nella richiesta di opposizione all’archiviazione (un atto di quasi una settantina di pagine) che a novembre sarà discussa nel tribunale di Venezia la difesa fa riferimento alle dichiarazioni del pm Ruggeri di fronte al procuratore aggiunto Adelchi D’Ippolito. Ma ci sono anche dei passaggi fondamentali delle testimonianze di alcuni consulenti.
La difesa elenca quanto successo dopo il 12 ottobre 2018 quando la condanna di Bossetti diventa definitiva, senza che lui abbia mai potuto vedere da vicino la ‘prova regina’ che lo inchioda.
Il 26 novembre 2019 l’avvocato Salvagni chiede di avere accesso alle provette di Dna e di poterle esaminare. Il giorno dopo arriva l’autorizzazione. Ma il legale non è al corrente del fatto che il pm ha già chiesto di spostare i campioni. Così il 21 novembre i 54 campioni vengono prelevati dal frigo. Dopo la consegna ai carabinieri di Bergamo da parte del professore Giorgio Casari, le provette raggiungono il tribunale il 2 dicembre 2019, 12 giorni dopo essere uscite dal San Raffaele. La difesa di Bossetti rimane così con nulla in mano: dopo il primo ok per visionari i reperti – sottoposti a un provvedimento di confisca che vieta di distruggerli – da parte del presidente della prima sezione penale del tribunale di Bergamo Giovanni Petillo, giunge una insolita retromarcia.
L’archiviazione della procura di Venezia
La posizione della funzionaria responsabile dell’ufficio Corpi di reati e di Petillo, accusati di frode processuale e depistaggio, è stata archiviata dalla competente procura di Venezia, che indaga sulla corretta conservazione della traccia genetica trovata sui vestiti di Yara. Per la procura veneziana “non c’è alcuna prova di un piano orchestrato allo scopo di depistare eventuali nuove indagini difensive”.
Ma Bossetti non ci sta. E adesso – dopo aver sollecitato l’indagine con una denuncia – accusa la pm Ruggeri. Per la difesa, infatti, “i 54 campioni erano idonei per nuove analisi”. Le tecniche di oggi “avrebbero risolto le gravi anomalie” e i campioni biologici “dovevano essere conservati al freddo, per evitarne lo scongelamento e il conseguente deterioramento”.
Anche se non nuove, queste dichiarazioni sembrano sorprendere la pm Letizia Ruggeri. Il 10 marzo 2021 il procuratore vicario di Venezia D’Ippolito, riferisce l’Adnkronos, la informa che il professore Casari e il colonnello Giampietro Lago (capo del Ris del Parma) gli hanno detto che l’esame può essere ripetuto e che c’è una sufficiente quantità di Dna per poter fare una nuova comparazione.
Il verbale della pm
La pm appare spiazzata, come emerge dalle parole messe a verbale (e riportate sempre da Adnkronos). “Ma assolutamente no, ma abbiamo tutto un processo in cui…ho tutti i verbali del processo in cui è emersa una cosa completamente diversa. Ma…cioè, sono anche abbastanza meravigliata”. “Peraltro, cioè, su quel Dna la parola fine l’ha messa la Cassazione. La parte residuale che era rimasta in quelle 54 provette non era che io sappia, che sia emerso dal processo, dalle indagini preliminari, da quello che mi ha detto anche…mi hanno detto tutti i consulenti, era che ‘Sì certo, qualcosa magari si tira fuori, ma…ma non…ma non con questa certezza, in questi termini con cui mi viene prospettato adesso, nel modo più assoluto” aggiunge il pubblico ministero.
“Il Dna di Bossetti, a quanto ne so io, perché me l’hanno detto, perché io non sono un tecnico, (…) per quanto ne so io con quel pochissimo…sostanza che era rimasta lì dentro, ormai ammuffita, nelle parole di Casari, ha detto che erano quasi tutte…il 3% di Dna umano quasi tutte muffe, tanto è vero che l’indagine che gli avevo incaricato io di fare non l’ha potuta fare per la qualità scadente del materiale. Quindi io so che era un materiale assolutamente…cioè i rimasugli e assolutamente scadente, inidoneo per qualsiasi altra comparazione e ripetizione di esame. Cioè il Dna di Bossetti, così bello, così limpido, di cui abbiamo parlato per tutte queste udienze, così inequivocabile, da quei reperti non verrà mai più fuori. Questo è quello che loro hanno detto a me. Per cui rimango veramente sorpresa” terminala pm Ruggeri.
La richiesta della difesa al gip veneziano
Per la difesa di Bossetti si tratta di “false affermazioni” che avrebbero “condizionato” il processo. Da qui la richiesta al gip di Venezia di indagare la pm Letizia Ruggeri, in concorso con Giovanni Petillo, per “frode processuale e distruzione dolosa dei reperti”.
Accuse pesanti per la pm. Ma la strada per la revisione del processo resta impervia per i difensori di Bossetti: dopo la pronuncia della Cassazione quel Dna sarà sempre di Bossetti. Ma esaminare le 54 provette potrebbe portare ad aggiungere elementi nuovo al delitto di Yara Gambirasio.