L’inflazione in costante crescita porta a una perdita del potere d’acquisto. Di conseguenza, i soldi tenuti “fermi” varranno sempre meno.
Qualche valida alternativa per contrastare l’aumento del costo della vita.
In due anni è “andato in fumo” il 9,8 per cento. È la perdita netta, in potere d’acquisto dei capitali fermi sui conti correnti. A chi va la colpa? All’inflazione, che fino a giugno 2022 è aumentata del 7,8%. Una vera e propria tassa occulta, silenziosa, invisibile. Ma che fa male anche se non la vediamo.
Per andare sul pratico, è come se si fossero volatilizzati ben 160,30 dei 1.635,7 miliardi di euro che a giugno 2020 erano depositati in banca. E per giunta, a fronte di un’inflazione in costante crescita da gennaio 2021 ad oggi, la liquidità infruttifera sui conti correnti bancari è aumentata, anziché diminuire. In due anni è cresciuta più del 12%, arrivando a quota 1.840,7 miliardi di euro.
Una cattiva notizia, soprattutto in considerazione del fatto che l’inflazione attesa sui dieci anni – cioè la perdita del potere d’acquista annuale per il prossimo decennio – oggi viene stimata attorno al 3,58%. Le mosse della Bce, che seguendo l’esempio della Federal Reserve americana ha cominciato ad alzare i tassi di interesse (0,50% nel meeting di luglio), dovrebbe contrastare questa spinta inflattiva. Ma è probabile ad ogni modo che nel prossimo decennio si dovrà fare i conti con un’inflazione superiore al target della Banca centrale europea (il 2%).
Famiglie più povere rispetto a due anni fa
Per colpa dell’inflazione alle stelle, i soldi fermi sul conto corrente andranno dunque a valere sempre di meno. Come fare per chi non vuole rassegnarsi a perdere potere d’acquisto?
Stando all’andamento dei risparmi sui conti correnti, le famiglie italiane appaiono più ricche rispetto a due anni fa: + 205 miliardi. Ma non è tutto come sembra. Sì, perché se consideriamo l’inflazione, la ricchezza delle famiglie non è per nulla cresciuta, tutt’altro. La crescita dei prezzi infatti ha “bruciato” 160,20 miliardi.
E in dieci anni, per fare un esempio, 10 mila euro varranno 7.035 euro: il 30% in meno. E 50 mila avranno un valore di 35.173 euro. Senza contare gli oneri di gestione del conto corrente, che aggravano ulteriormente il quadro.
Uscire dalla logica del “materasso”
Come fare allora per tutelare i propri risparmi? Qualche suggerimento arriva da Raffaele Zenti, cofounder e managing partner di Vitual B. Intervistato dal Corriere della Sera, invita a uscire dalla logica del “materasso” per trovare una buona alternativa al conto corrente.
Zenti suggerisce ad esempio di vincolare i soldi su un conto deposito, che ha rendimenti che a 12 mesi vanno dallo 0,74% netto di Rendimax (Banca Ifis) all’1,48% netto di Aidexa (che su 36 mesi raggiunge il 2,22% netto). «Ma allargando l’orizzonte temporale le alternative crescono — spiega Zenti —. Per esempio, si potrebbe aumentare l’asticella del rischio investendo sui mercati azionari, magari guardando ai megatrend più promettenti, come quello della cybersecurity o delle tecnologie avanzate, oppure, se il mercato sta prezzando correttamente l’inflazione futura, si potrebbe pensare al decennale italiano».
La strada più naturale per tutelarsi dalla perdita del potere d’acquisto senza correre troppi rischi è cavalcare l’inflazione stessa. E come si fa? Basta investire nelle obbligazioni inflation linked che, tramite la rivalutazione delle cedole e del capitale, possono controbilanciare la perdita del potere di acquisto dei propri risparmi, garantendone la tenuta.
L’obbligazione inflation linked può rappresentare una soluzione anti inflazione. Ma a patto di detenere il titolo fino a scadenza per non andare in conto a perdite in conto capitale, come spiega sempre al Corriere Francesco Lomartire, responsabile Spdr Etfs per il Sud Europa. In questo caso «la durata dell’investimento, dunque, diventa fondamentale. I rialzi dei tassi avranno un effetto sul valore delle emissioni sul mercato secondario per quegli investitori che non intendono detenere il bond fino a scadenza. Sebbene compensata da cedole più elevate rispetto a quelle nominali, l’inflazione innesca effetti al rialzo dei tassi di interesse che penalizzano le emissioni più lunghe».
Come alternativa ci sono gli strumenti del risparmio gestito, «come gli Etf, che per proteggersi dall’inflazione futura rappresentano la scelta più efficiente dal punto di vista dei costi, della liquidità e della diversificazione», ricorda Lomartire.
Investire gradualmente in azioni col Pac
Le soluzioni contro la perdita del potere d’acquista aumentano con l’aumentare del rischio. Si deve però uscire da una logica di breve periodo, investendo gradualmente con gradualità sul mercato azionario, con la formula del Pac (Piano di accumulo del capitale). Si tratta, spiega Alessandro Allegri, ad di Ambrosetti Am «uno strumento molto semplice per gli investitori alle prime armi, non richiede grandi capitali iniziali e aiuta a essere programmatici. E in certe fasi di mercato, come quella attuale, potrebbe essere particolarmente vantaggioso, ma bisogna prestare molta attenzione alle commissioni. Alcune realtà spingono a favore dei Pac e utilizzano strumenti di gestione del risparmio che oltre ai costi di gestione prevedono anche commissioni di entrata e uscita».
Un esempio concreto: un Pac in un fondo azionario globale partito a luglio del 2017 in cinque anni – fine luglio 2022 – ha portato a un rendimento, al netto delle commissioni, del 20,17%, (contro un’inflazione media annua dell’1,4 per cento nello stesso periodo). Per un rendimento complessivo, al netto dell’inflazione, pari al 4,03% su base annuale. Sul conto corrente i risparmi avrebbero perso il 4,20% in potere d’acquisto, senza calcolare i costi bancari.
Un’altra soluzione, tra sicurezza e rischio: conto deposito e criptovalute
Nel medio-lungo periodo, le azioni si sono sempre dimostrate efficaci per controbilanciare l’inflazione. Ma si tratta di un tipo di investimento poco adatto a chi ha scarsa o nulla propensione al rischio negli investimenti. Stesso discorso per i bond legati all’inflazione, che potrebbero portare a perdite in caso di vendita prima della scadenza naturale. C’è dunque un’unica alternativa per chi non vuol correre rischi: il conto deposito. A patto però di vincolare i propri risparmi, che quindi per un certo lasso di tempo non potranno essere impiegati. Unico modo per aver tassi perlomeno accettabili. Più lungo è il vincolo, più i tassi sono alti. A 12 mesi, ad esempio, il tasso più alto oggi è quello offerto da Aidexa, con un netto dell’1,48%. Sempre Aidexa a 3 anni la stessa paga un netto del 2,20%.
Si tratta di tassi che non coprono l’inflazione, ma quantomeno aiutano a limitarla. Anche i meno esperti possono ricorrere al conto deposito. Una soluzione che consiste nel vincolare i propri risparmi in un deposito che paga interessi anticipati. Questi stessi interessi vengono poi investiti in asset che possono arrivare a offrire rendimenti a due se non perfino tre cifre. Ad esempio un titolo tecnologico o una criptovaluta. Con Rendimax (Banca Ifis), nel caso in cui si vincolino 10 mila euro a 5 anni si ricevono interessi netti anticipati pari all’1,63% per ogni anno di vincolo. Interessi equivalenti a 814 euro. Una piccola somma con la quale si può scommettere, ad esempio, sul Bitcoin o su Ethereum (le due criptovalute a più alta capitalizzazione). Qualora riuscissero a ritornare ai loro livelli massimi (68.990,6 dollari per Bitcoin e 4.864,06 dollari per Ethereum) potrebbero portare a rendimenti del 227%, nel primo caso, e del 214 per cento nel secondo. Nell’eventualità in cui l’investimento si rivelasse al di sotto delle previsioni, i 10mila euro rimarrebbero comunque al sicuro sul conto deposito, scontando solo la perdita del potere d’acquisto dovuta all’inflazione.