Dal lavoro di analisi fatto dagli inquirenti sulle chat di Alessia Pifferi, è emerso che per lei la figlia rappresentava un peso. I fine settimana passati dal compagno e quel volersi deresponsabilizzare dall’essere madre
Per Alessia Pifferi, 36 anni, madre della piccola Diana, morta a soli 18 mesi dopo che Pifferi l’aveva lasciata sola in casa per sei giorni, la figlia rappresentava un peso. La verità è emersa dalle chat analizzate dagli investigatori.
E lei stessa lo aveva confermato anche durante gli interrogatori avvenuti dopo la drammatica scoperta della morte della bimba. Alessia Pifferi non aveva fatto mistero del fatto che non voleva portare con sé la figlia a Leffe (Bergamo), dove si recava per far visita al suo compagno.
Aveva infatti detto di volersi sentire «libera, finalmente sollevata per un po’ dal peso di essere una ragazza madre». E questa ammissione combacia anche con le chat presenti sul cellulare della 36enne, finita in carcere dal 21 luglio scorso.
La polizia ha depositato l’analisi delle chat della donna, da cui sarebbe emerso che la bambina era un peso per lei. Secondo il gip, Alessia Pifferi sarebbe affetta da una «evidente instabilità affettiva recentemente» sfociata «in una forma di dipendenza psicologica dall’attuale compagno, che l’ha indotta ad anteporre la possibilità di mantenere una relazione con lui anche a costo di infliggere enormi sofferenze», che poi sono giunte al culmine con il decesso della piccola Diana, a soli 18 mesi.
Il gip ha rifiutato la richiesta ad accedere in prigione del professor Pietro Pietrini, uno dei due professori a cui la difesa ha affidato una perizia psichiatrica su Alessia Pifferi. Il giudice, infatti, non ha visto ragioni valide per permettere colloqui con la 36enne, se non con i propri avvocati, a persone esterne o dottori che possano fare una perizia sulle condizioni mentali di Pifferi.
Si è inoltre in attesa degli esiti dell’incidente probatorio, previsto per il 28 settembre, e ulteriori accertamenti sugli oggetti sequestrati a casa di Pifferi, tra cui il biberon che era affianco alla piccola, ormai deceduta. Dagli esami si potrà far luce su un fatto, ossia se il latte che Pifferi aveva lasciato alla figlia fosse stato “manomesso” con dosi di tranquillante per evitare che la bimba scoppiasse in lacrime e attirasse l’attenzione dei vicini.
Infine, anche nonna e zia della bambina hanno nominato un avvocato e si sono costituite parte civile.
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