Già secondo le prime analisi dei medici legali sul cadavere della donna non c’erano segni di violenza.
La procura di Trieste aveva ipotizzato il reato di sequestro di persona. Ma non aveva mai iscritto nessuno nel registro degli indagati per la morte di Liliana Resinovich.
Liliana Resinovich si è uccisa due o tre giorni prima che fosse ritrovato il suo corpo senza vita, lo scorso 5 gennaio nel parco dell’ex ospedale psichiatrico di Trieste. Suicidio quindi. Così ha stabilito la perizia disposta dalla procura. Una svolta, forse quella decisiva, nel giallo iniziato il 14 dicembre 2021, quando Liliana Resinovich era scomparsa. Il suo corpo sarebbe stato poi trovato, ancora vestito, avvolto in due sacchi della spazzatura.
Per Fulvio Costantinides, il perito che ha eseguito le analisi insieme al medico radiologo Fabio Cavalli, dopo aver effettuato anche l’autopsia, la donna si sarebbe suicidata soffocandosi con due sacchetti stretti, ma non in maniera vigorosa, sulla testa.
Una bozza di 50 pagine che esclude l’ipotesi di omicidio
Il caso sembrerebbe dunque chiuso dopo la bozza della relazione, firmata da Fulvio Costantinides, professore di Medicina legale, insieme a Fabio Cavalli. Una bozza poi fatta avere ai consulenti di parte per le loro osservazioni. Dovrebbe trattarsi di un documento di circa 50 pagine in cui i due esperti, incaricati dal sostituto procuratore Maddalena Chergia, avrebbero fornito una descrizione puntuale dei risultati dell’autopsia e degli esami tossicologici (sarebbe escluso che la donna avesse assunto droga o farmaci). Deducendone che si tratterebbe di un gesto estremo da parte della donna, che non avrebbe coinvolto dunque altre persone.
I dettagli sul soffocamento con i sacchi e gli esiti dell’autopsia
I sacchi integri dove era contenuto il corpo della donna – si legge nella bozza – risultano «poco compatibili» con una possibile aggressione e col trasporto del corpo «in ambiente impervio». A questo andrebbe aggiunta la mancanza di «qualsivoglia segno ragionevolmente riportabile a violenza per mano altrui», l’assenza «di lesioni attribuibili a difesa» e di altre ferite che avrebbero potuto impedire a Liliana di reagire a un’aggressione violenta.
Secondo i consulenti, poi, il fatto che i sacchetti non siano stati trovati stretti al collo «non esclude una morte per una possibile asfissia di questo tipo: se è vero infatti che basta l’inspirio per far aderire il sacchetto agli orifizi del volto, cagionando deficit di ossigeno, tale aderenza può essere anche intermittente o addirittura non esserci, essendo sufficiente per il soffocamento l’accumulo progressivo di anidride carbonica espirata e il rapido consumo dell’ossigeno nel poco volume aereo offerto dal sacchetto», sostengono i consulenti tecnici.
Una morte per asfissia senza intervento di terzi
Quindi per i due esperti «non emerge alcunché che concretamente supporti l’intervento di mano altrui nel determinismo del decesso» della 63enne, che si era allontanata da casa senza telefono cellulare e fede nuziale. Conclusioni che appaiono di una importanza decisiva, anche se rimane ancora da capire cosa sia successo dal giorno della scomparsa della donna fino a quello della morte.
Il decesso si potrebbe far «ragionevolmente risalire a ragionevolmente a circa 2-3 giorni prima» del ritrovamento del cadavere che «non presenta evidenti lesioni traumatiche, possibili causa o concausa di morte, con assenza di solchi o emorragie al collo, con assenza di lesioni da difesa, con vesti del tutto integre e normoindossate, senza chiara evidenza di azione di terzi», spiegano i consulenti. A loro parere l’autopsia indica «una morte asfittica tipo spazio confinato, senza importanti legature o emorragie presenti al collo». Giudizi che potrebbero portare la procura triestina, al termine degli accertamenti, ad archiviare il caso di Liliana Resinovich.