Un’inchiesta dei carabinieri fa emergere un quadro di degrado a Torre Annunziata, con bimbi di 8-11 anni usati come spacciatori.
In diciotto gli indagati in questa storiaccia di droga, armi e malavitosi che ruba l’infanzia a dei bambini.
Bambini di soli otto e undici anni mandati in strada a spacciare cocaina. A prendersi i 40 euro per la dose dai tossicodipendenti. Con una delle mamme arrestate che pubblica, con fierezza, sui social l’immagine del figlio che impugna la pistola, in posa da camorrista: «Sei uguale a papà», commenta mamma.
Il Messaggero riferisce di un’inchiesta coordinata dalla Procura di Torre Annunziata e portata avanti dai carabinieri della sezione operativa della compagnia oplontina. Al termine dell’inchiesta, partita nei cinque mesi successivi a un insolito agguato avvenuto nel rione Poverelli, sono finite agli arresti diciotto persone. Tra di loro ci sono sette donne. Sette madri, alcune delle quali hanno insegnato ai figli minorenni i «trucchi» del «mestiere» di famiglia, in mezzo a droga, armi e malavita.
Il Gip che ha emesso l’ordinanza di custodia cautelare aveva stabilito il carcere per tutti i 18 indagati. Ma due donne hanno figli piccolissimi e per loro è arrivato il divieto di dimora in Campania. Una volta ancora, una storia di degrado sociale proveniente dal Rione Poverelli, quartiere arrivato alla ribalta della cronaca per lo scandalo della pedofilia e per l’assassinio di Matilde Sorrentino, la mamma coraggio uccisa a 49 anni per aver denunciato gli abusi sessuali sui bimbi avvenuti nel sottoscala della scuola elementare.
E adesso arriva anche la storiaccia dei piccoli costretti a spacciare droga nel quartiere. Uno di questi, a soli otto anni, va in strada a consegnare le dosi. Un altro, di undici anni, viene convinto da mamma e papà prima con gli insulti («Sei un bastardo» e «infame», gli avevano detto i genitori quando si era rifiutato di uscire, la sera del 26 dicembre, per consegnare la cocaina) e infine con una banconota da 10 euro.
Le indagini dei carabinieri hanno ricostruito, tra dicembre 2018 e aprile 2019, l’intero organigramma di pusher e fornitori. C’è il trentenne legato al clan Gionta che si presenta armato a casa di uno degli spacciatori. E una volta lì minaccia la moglie con una pistola: una settimana per pagare i 50 grammi, altrimenti spara. Qualche giorno dopo arriva un altro avviso, stavolta attraverso parenti. Questa volta la minaccia è rivolta a uno dei bambini-pusher, al quale minaccia le «torture cinesi».
I 18 indagati sono accusati, a vario titolo, di detenzione e spaccio di droga, estorsione, detenzione e porto illegali in luogo pubblico di armi comuni da sparo. A partire da lunedì potranno dimostrare di essere estranei ai fatti con gli interrogatori di garanzia.
Guardando sui social di una delle donne arrestate, emerge il post di una mamma orgogliosa. Ci sono due foto del figlio, di soli sei anni, a petto nudo, con un medaglione d’oro al collo, in atteggiamento da «guappo» e una pistola (di plastica, con tappo rosso) bene in evidenza: «Sei uguale al tuo papà, vita mia», il commento.
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