Mentre a Kiev imperversa il conflitto, a Roma la guerra viene messa da parte per la campagna elettorale. E il tema Ucraina resta fuori dalla discussione e non per disinteresse, ma per un’altra ragione
Il conflitto a Kiev prosegue, ma a Roma la priorità, per quasi ogni partito, è quella elettorale. Di quanto sta accadendo in Ucraina non se ne dibatte, ma non per una questione di disinteresse, bensì per non causare effetti negativi nell’opinione pubblica in vista del voto.
I leader affrontano il tema Putin e dell’ingerenza russa, ma quasi nessuno affronta l’argomento da una prospettiva militare o in merito alle conseguenze dal punto di vista economico e sociale che creerà nel Paese. Sempre quasi tutti, sviano quando vien loro posta la domanda su come si comporterà il nuovo governo quando dovrà trovarsi a fare una scelta tra la pace e i termosifoni.
Il quarto invio di armi a Kiev è passato inosservato, nonostante proprio la polemica di Conte in merito a questa decisione avesse innescato la crisi che ha poi portato alla caduta del governo Draghi. Qualche giorno fa, il ministro della Difesa Guerini si è recato al Copasir per dire che «la guerra di attrito è destinata a durare, l’esito del conflitto dipenderà dall’aiuto che saprà fornire l’Occidente» all’Ucraina. Ecco perché «il governo si prepara a un’altra spedizione di materiale» prevista per il mese di settembre, quando nel nostro Paese si staranno preparando le votazioni.
Il “quinto decreto” è già visto come un ostacolo per le coalizioni, che stanno vivendo molte contraddizioni interne. Ci sarebbe infatti una ragione, se Letta, leader del Pd, tra i tanti argomenti affrontati, si è solo limitato a rammentare che oltretutto «c’è una guerra». Nonostante nel febbraio scorso si sia schierato con l’Ucraina, il leader sarebbe preoccupato che l’eco del conflitto possa influenzare l’elettorato di sinistra e pacifista.
Dato che necessita di quei voti, non tocca il tema, relegandolo sullo sfondo. Guerini, invece, nelle varie assemblee di partito ricorda come la guerra «entrata nella politica italiana e continuerà a essere presente».
Per quanto riguarda invece la destra con Giorgia Meloni, lei da subito è stata chiara nel suo partito, con un appoggio sostanziale al governo Draghi sulla politica in merito alla questione energia e l’appoggio all’Ucraina. Ma un conto è il suo partito, un altro gestire gli alleati della coalizione.
Da una parte c’è Salvini che ha un approccio più improntato sull’essere “pacifista”, dall’altro le convinzioni di Berlusconi, secondo cui il prosieguo del conflitto porterebbe «gravi problemi alle aziende italiane». Se il conflitto a Kiev è stato messo da parte, è perché a Roma è in corso un nuovo conflitto, quello dei seggi.