Alessia Pifferi, 36 anni, madre di Diana, 18 mesi, lasciata sola in casa a Milano per sei giorni e poi deceduta, racconta agli inquirenti cosa è successo
Ha lasciato sua figlia Diana, 18 mesi, per sei giorni sola in casa a Milano, mentre lei andava a trovare il nuovo compagno a Leffe, in provincia di Bergamo. Al suo ritorno, ha trovato la figlia senza vita.
La bambina, sola in casa, aveva accanto, nel suo lettino, un biberon che i poliziotti hanno trovato vuoto, con ancora alcuni sprazzi di latte, il pannolino sul lettone, strappato e lanciato al di là delle sbarre della culla e un altro invece sul davanzale, riempito di vermi.
Diana è morta di fame e sete nella casa in cui viveva con la madre Alessia Pifferi, 36 anni, che l’ha lasciata sola alle ore 18:55 del 14 luglio scorso. La donna ha raccontato di averle somministrato delle gocce di tachipirina, che racconta di averle dato anche il giorno precedente, poi chiude la valigia e se ne va a Leffe (Bergamo) dal nuovo compagno.
Nell’abitazione, gli inquirenti non troveranno nessun antipiretico, ma solo una boccetta di benzodiazepine, vuota per 3/4, posata su un mobile in cucina. La donna ha detto che l’avrebbe avuta da «una persona che ho conosciuto». Gli investigatori sospettano che la madre desse alla figlia delle dosi di ansiolitico per farla stare tranquilla. Nata prematura di 7 mesi e mezzo il 29 gennaio 2021, Diana era piuttosto gracile e sul suo corpicino c’erano alcune piaghe, segno dei pannolini tenuti per giorni, quando la madre la faceva stare sola in casa per interi fine settimana.
Mercoledì mattina, verso le 11:30, Pifferi rientra in casa e trova la figlia inerme. «Ho visto che non si muoveva. Le ho dato una pacchetta sulla schiena. Le ho messo i piedi nel lavandino per bagnarla, ma non reagiva». A quel punto, Pifferi si rivolge a una vicina, chiama l’ambulanza, va giù in cortile e dice ai vicini: «Non sono una cattiva madre».
Davanti al pm De Tommasi, ha raccontato della sua vita fatta di relazioni brevi con uomini conosciuti su Tinder, del padre della bambina di cui nessuno sa il nome e il nuovo compagno con cui sarebbe andata a convivere il mese prossimo. Da lui è stata in questi giorni, mentre la figlia moriva di stenti a casa. «Pensavo di partire giovedì e tornare venerdì, il giorno dopo», risponde ai pm. Quando il magistrato le domanda perché non è tornata dalla figlia, lei non risponde. «Gli avevo detto (si riferisce al nuovo compagno, ndr) che Diana era al sicuro, al mare, accudita da mia sorella. Ho mentito perché mi sentivo sempre giudicata».
Ai vicini aveva detto che quando non era in casa, c’era una babysitter con la piccola. Ma in quell’abitazione non ci andava mai nessuno. «Forse Alessia viveva quella figlia come un peso che le impediva di uscire, divertirsi», è il commento di un vicino.
Ai pm ha detto di aver lasciato sola Diana un mese fa per la prima volta, per andare dal compagno con una sua amica, andando via qualche ora. Poi però le uscite aumentavano e lei racconta:«La cambiavo e le lasciavo due biberon e quattro bottigliette d’acqua». Il 20 luglio, però, gli investigatori rinveniranno soltanto un biberon nella culla di Diana. «S’è mai resa conto delle conseguenze che potevano avere su una bambina di 18 mesi l’assenza di cibo, le alte temperature e un digiuno prolungato?», è la domanda del magistrato. Lei replica in modo glaciale: «Sì, a parte la disidratazione, la morte».
Alessia Pifferi non piange nel corso dell’interrogatorio. Ogni volta che gli inquirenti le contestano di aver tolto la vita alla figlia Diana, tace e si giustifica asserendo di non essere mai tornata a Milano in quei sei giorni. Il compagno, però, la smentisce dicendo il contrario: «Lunedì siamo tornati in città perché dovevo sbrigare questioni di lavoro. Ma lei non mi ha chiesto di passare da casa». Forse la piccola era ancora viva. «Quando giovedì sono andata via non ero tranquilla, sapevo che stavo facendo qualcosa che non andava fatto, che poteva accadere di tutto, anche quello che è poi successo». Ora la donna è in carcere a San Vittore accusata di omicidio volontario aggravato.