Il governo cinese verificherà la fedeltà al partito dei cittadini attraverso il riconoscimento facciale

Il governo di Pechino sembra ormai vicinissimo a utilizzare l’intelligenza artificiale per misurare la lealtà al partito dei suoi cittadini. 

Ha fatto molto discutere un video pubblicato da un centro di ricerca scientifico della città di Hefei in Cina, e rimosso poco tempo dopo dalle autorità di Pechino. Nel filmato, a quanto racconta chi lo ha visionato prima della cancellazione, veniva mostrato un ricercatore intento ad utilizzare la tecnologia biometrica per il riconoscimento facciale. Lo scopo era fornire dei risultati circa la fedeltà al partito comunista cinese dei soggetti analizzati.

O scansionati, sarebbe meglio dire. 

Pixabay

Il video è stato rimosso ma alcune settimane dopo il Telegraph ha pubblicato un articolo per raccontare di come il governo di Pechino sia già riuscito a sfruttare l’intelligenza artificiale per mettere a punto una nuova tecnologia con un obiettivo indubbiamente ambizioso: analizzare i volti dei cittadini per identificare il loro status politico, la loro fedeltà al partito comunista cinese

Una tecnologia in grado di riconoscere potenziali dissidenti scannerizzandone semplicemente il volto. 

Perchè il video è stato rimosso? Non una mossa scontata per un governo che di certo non deve occuparsi di inseguire in modo ossessivo il consenso. Eppure, si è comunque ritenuto che era meglio evitare che la popolazione si interrogasse troppo sul contenuto del filmato. 

La storia di Guo Bing

Nel 2019 Guo Bing, un professore di diritto, è finito sulle pagine dei giornali locali dopo la sua decisione di denunciare lo zoo di Hangzhou. Bing faceva spesso visita al parco animali della città, una vera e propria passione che lo aveva portato ad acquistare un abbonamento annuale.

A un certo punto però il Safari Park di Hangzhou decide di aggiornare il suo sistema accesso: il riconoscimento facciale diventa la tecnologia privilegiata da adottare per monitorare le entrate all’interno della struttura. L’impronta digitale non è più sufficiente per entrare al suo interno. Il professore a quel punto si sente di fronte a un bivio: accettare il nuovo sistema di riconoscimento facciale era condizione obbligatoria per continuare a recarsi nel tempo libero in un luogo che frequentava da anni. Bing rifiuta di sottoporsi al nuovo sistema di accesso, ma in realtà non vuole denunciare lo zoo o dare inizio a una battaglia legale. Chiede però che gli venga rimborsato l’abbonamento annuale. 

Il rifiuto del Safari Park di HangZhou cambia tutto. 

Guo denuncia lo zoo per violazione dei termini contrattuali: è la prima causa giudiziaria in Cina che si occupa del problema. A quel punto, come spiega in seguito ai giornalisti del South China Morning Post, per lui diventa una questione politica. 

“Lo scopo della causa non è il rimborso ma combattere l’abuso delle tecnologie di riconoscimento facciale”.

La corte cinese nel 2020 dà ragione al professore e condanna l’azienda a rimborsarlo dell’abbonamento annuale. Viene disposta anche la cancellazione di tutti i suoi dati biometrici dai database della struttura. Alcuni giuristi ritengono che questa sentenza abbia avuto una certa importanza nella storia del diritto in cinese, e infatti, sostengono, poco tempo dopo la Commissione legislativa del congresso del popolo cinese ha presentato una nuova proposta per migliorare la tutela della privacy dei cittadini. 

A distanza di due anni dalla vittoria in tribunale di Guo Bing, gli esperimenti del governo di Pechino si concentrano sulla possibilità di utilizzare il riconoscimento facciale per verificare la fedeltà dei cittadini al partito comunista. Un test che di sicuro semplificherà molto la vita alle autorità: un giorno non ci sarà forse più bisogno di conoscere, parlare, interrogare un soggetto per comprendere la sua posizione politica rispetto al governo di Pechino.  

Basterà filmare il suo volto. E nessuno rimpiangerà mai i tempi in cui scovare i dissidenti richiedeva tempo e dedizione. 

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