Crisi di governo: cosa succede se cade Draghi | la road map del Colle per la crisi

Il presidente della Repubblica ha condiviso col premier dimissionario uno scenario per arrivare a nuove elezioni dopo l’estate.

Ma in quattro giorni (fino a mercoledì, quando Draghi riferirà alle Camere) non sono esclusi altri colpi di scena, anche se improbabili.

Quali scenari si aprono dopo le dimissioni presentate da Mario Draghi giovedì 15 luglio? Fonti di governo a lui vicine, riferisce il Corriere, lo danno per «totalmente risoluto» nella conferma del passo indietro. Dopo lo strappo di Conte il premier è salito dimissionario al Colle, a rimettere il mandato nella mani di Mattarella. Con l’astensione dei senatori a cinque stelle sul dl Aiuti per il premier è venuto meno il patto politico alla base del governo, anche se i numeri, in parlamento, sono ancora dalla sua parte.

Una crisi extraparlmentare dunque. Il presidente della Repubblica ha respinto le dimissioni di Draghi incanalando la crisi in un percorso costituzionale. Al presidente del Consiglio ha chiesto di riferire alle Camere mercoledì prossimo per vagliare la possibilità di ricucire lo strappo. Dopo l’annuncio di Draghi in Cdm e il secondo incontro col Colle era sembrato che l’ex numero uno della Bce fosse disponibile a voto su una risoluzione di maggioranza.

Ma qualcosa poi è cambiato. Draghi mercoledì spiegherà al Parlamento e all’Italia le motivazioni del suo “gran rifiuto” dopo quasi un anno e mezzo (17 mesi) passato alla guida dell’esecutivo. Adesso l’eventualità di una verifica attraverso il voto di fiducia sembra esclusa. Col patto di maggioranza andato in frantumi il governo potrebbe soltanto «vivacchiare», intrappolato nella rete dei veti incrociati, dei diktat e degli ultimatum dei partiti. Una prospettiva che Draghi non ritiene utile per il Paese.

Draghi al timone fino a ottobre per andare a nuove elezioni

Un rebus per il Quirinale, che potrebbe optare per questa soluzione: accompagnare con ordine il Paese alle elezioni, con Draghi al timone per traghettare la nave. L’ipotesi che appare più probabile, salvo rovesciamenti di fronte, è che mercoledì Draghi, dopo la comunicazione in Aula, salga al Quirinale per dimettersi una seconda volta. Con Mattarella che non accetta le dimissioni e scioglie le Camere. E che poi, senza l’apertura di nuova consultazioni, comunica la data del voto (il 25 settembre, il 2 o il 10 ottobre le date “papabili”). Il premier, non essendo stato sfiduciato, resta in carica a Palazzo Chigi nel pieno dei poteri e delle funzioni, fino all’entrata in carica del suo successore.

Le altre ipotesi: dal governo tecnico alla ricucitura della maggioranza

Sarebbe questa, dice il Corriere, la soluzione condivisa col Quirinale. Esclusa così l’ipotesi di un esecutivo tecnico (capeggiato magari dal ministro dell’Economia Daniele Franco) per arrivare al voto nel febbraio del prossimo anno.

Ma non è ancora detta l’ultima parola. Perché fino a mercoledì ancora tante cose possono succedere. Ad esempio che Conte ritiri la delegazione dei ministri pentastellati dal Parlamento. Il Pd nel frattempo ha annunciato di voler provare a riannodare i fili spezzati della maggioranza. Un’impresa a dir poco ardua, con Draghi che dovrebbe accettare di passare per un voto di fiducia mercoledì in Aula, sulla base del suo discorso e di nuove regole all’insegna del “patti chiari, amicizia lunga” (perlomeno fino alla scadenza della legislatura). Il primo paletto, per il premier, è che la maggioranza rimanga quella di adesso. Il presidente del Consiglio, infatti, lo ha già fatto sapere: non guiderà un Draghi bis.

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