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Cronaca

Morte Attanasio: “Non sapevamo ci fosse un diplomatico”, così la banda congolese che lo ha ucciso

La Procura capitolina interroga la gang congolese accusata di aver ucciso l’ambasciatore Attanasio, il carabiniere Luca Iacovacci e l’autista Mustafa Milambo.

I banditi hanno raccontato di non sapere che quello che avevano assalito era un convoglio diplomatico.

Interrogati dalla Procura di Roma ii membri della banda arrestata in Congo: è la gang che il 22 febbraio 2021 ha ucciso l’ambasciatore italiano Luca Attanasio e il carabiniere Luca Iacovacci, oltre che l’autista Mustafa Milambo. I membri della banda sono stati arrestati dopo un altro sequestro, andato a segno.

I banditi arrestati non sapevano di aver assaltato un convoglio diplomatico. La loro intenzione era quella di fare un “semplice” sequestro a scopo di estorsione. Com’era capitato già in altre circostanze, stavano aspettando le prime vittime “bianche” lungo la Route nationale 2, al confine con Uganda, Ruanda e Burundi. Il colore della pelle indica infatti prede più ricche (turisti o cooperanti) per gli estorsori.

Ma quello che doveva essere un sequestro “lampo” – giusto il tempo di chiedere il riscatto e avere i soldi – si è tramutato in un triplice omicidio: l’autista Mustafa Milambo giusitizto sul luogo dell’agguato, Attanasio e Iacovacci uccisi nella foresta, durante la sparatoria con le guardie locali.

Ancora molti aspetti da valutare da parte dei magistrati italiani

L’ambasciatore Attanasio e il carabiniere Luca Iacovacci – Meteoweek

È questa, in sintesi, la confessione dei cinque sequestratori arrestati un anno fa dalla Procura militare di Kinsasha. Per il Congo il caso del triplice omicidio appare ormai chiuso, dopo le confessioni della banda. Ma non per la Procura di Roma, che procede parallelamente. Per i magistrati capitolini restano ancora molti aspetti da valutare. A cominciare dalle parziali ritrattazioni del quintetto di ciò che avevano confessato nel loro Paese.

I nomi dei membri della banda ancora non sono finiti nel registro degli indagati perché le deposizioni raccolte dagli investigatori italiani (le sole valide per il nostro codice, a differenza di quelle rese in Congo senza difensore) risultano molto più sfumate di quanto raccontato ai magistrati congolesi.

Il commando guidato da «Aspirant»

I cinque sequestratori – adesso in carcere a Kinshasa – sarebbero membri di un commando di sette persone sotto la guida di Amos Mutaka Kiduhaye, detto anche «Aspirant», attualmente latitante. Il regista dell’agguato sarebbe lui. Lo scopo era un riscatto da un milione di dollari. Dal racconto delle vittime sopravvissute agli inquirenti italiani sono emersi anche altri particolari. Come ad esempio che sul momento i banditi avessero chiesto 50 mila dollari. Ma Attanasio e gli altri non li avevano. Da lì la decisione di sequestrarli e la fuga nel bosco dove poi si è svolto lo scontro a fuoco coi rangers.

Il commando, stando alle confessioni degli arrestati, operava con una tecnica ben consolidata: due «vedette» in moto piantonavano la strada in attesa di potenziali vittime, le seguivano per un tratto e infine avvisavano i complici posizionati più avanti.

Uno schema seguito, pare, anche quella mattina del 22 luglio. È stato allora che due giovani congolesi – Issa Seba Nyani e Amidu Sembinja Babu – hanno seguito la scia delle due auto dove viaggiavano Attanasio, Iacovacci, il vicedirettore del Pam in Congo Rocco Leone e altre tre persone. Poi hanno avvertito «Aspirant», che quando è comparso il convoglio è uscito dal bosco assieme ad altri due complici, Marco Prince Nshimimana e Bahati Kiboko.

I tre, armati di kalashnikov, hanno intimato l’alt alle vetture: Nshimimana davanti alla prima per fermarla, mentre Kiboko si è messo dietro la seconda per impedire una possibile fuga. Andato a vuoto il tentativo di estorsione è iniziata alla fuga, fino alla sparatoria con guardiaparco e militari, nella quale i sequestratori hanno ucciso Attanasio e Iacovacci. Per gli inquirenti congolesi l’uccisore sarebbe stato Marco Prince Nshimimana, che però ha ammesso di aver preso parte all’agguato ma non di aver ucciso gli italiani.

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