Vince l’ala dura dei Cinque stelle. Il Movimento verso l”astensione sul decreto Aiuti. In tal caso si aprirà la crisi di governo.
Il premier Draghi pronto a salire dimissionario al Quirinale. Poi toccherà a Mattarella decidere se rimandarlo alle Camere per verificare se c’è ancora una maggioranza.
La decisione del Movimento matura in serata: astensione. Il M5S sceglie l’Aventino: non voterà la fiducia sul decreto Aiuti. A mezzogiorno i senatori pentastellati abbandoneranno dunque l’aula. Una scelta, quella di non votare sulla misura da miliardi di euro per famiglie e imprese, dettata dal no al termovalorizzatore di Roma. Lo strappo dei Cinque stelle, salvo rovesciamenti di fronte e miracoli in zona Cesarini, mette la parola fine al governo Draghi. Il Quirinale sembra intenzionato a provare fino all’ultimo a dissuadere i pentastellati. Ma Conte ormai ha deciso.
Per il leader del Movimento, riferisce il Corriere della Sera, l’Italia «sembra sull’orlo del baratro», «lo scenario è cambiato e serve una fase differente». Eppure Conte stesso, attorno alle dieci di sera, avrebbe detto ai suoi parlamentari che il premier aveva dato il «segnale» che voleva con la sua lettera-ultimatum: «Ho registrato una disponibilità a venirci incontro su tutti i punti. Ma la fase che stiamo attraversando necessita più delle promesse».
La vittoria dell’ala dura dei Cinque stelle
Vince dunque la linea dura dei falchi del Movimento, anche se le colombe coltivano ancora qualche residua speranza. Alle undici di sera qualcuno parla di un incontro tra Conte e Draghi, altri pensano che il leader pentastellato abbia parlato con Mattarella. Malgrado la smentita del Quirinale, si è fatto avanti un teorema: dopo lo strappo dei Cinque stelle Draghi si presenterà al Colle per rassegnare le dimissioni e, se accetterà di tornare alle Camere per verificare la presenza o meno di una maggioranza che lo sostiene, il Movimento gli voterà la fiducia. Un teorema bocciato però dalla Lega. Per Salvini «se i 5 Stelle escono dall’Aula la maggioranza non c’è più».
La crisi del governo di unità nazionale sembra dunque imminente, come mai prima di adesso. Alle 9:30 si apriranno i i lavori nell’aula di palazzo Madama. All’ordine del giorno il voto di fiducia sul decreto Aiuti. L’ala dura dei Cinque stelle ha messo sotto pressione Conte chiedendo lo strappo con l’esecutivo. E l’ex premier, anche se non del tutto convinto, alla fine ha dovuto cedere.
Per Draghi niente governo senza fiducia dei partiti
Per Draghi le cose sono chiare: senza fiducia, il governo non c’è più. Il primo ministro non guiderà un esecutivo depotenziato, senza il pieno sostegno dei partiti che lo hanno fatto nascere. Un ragionamento condiviso anche da Salvini, per il quale «se una forza di maggioranza non vota un decreto della maggioranza, fine. Si va a votare». Anche il Pd, per una volta, la pensa come la Lega.
Una linea che Draghi ha ribadito in una telefonata a Conte, dopo che alle quattro di pomeriggio era sfumata l’ipotesi di incontrarsi col leader del Movimento. Per il premier l’unica via d’uscita dall’impasse è il voto di fiducia da parte dei partiti della maggioranza. Altrimenti sarà crisi. Per Draghi impossibile andare avanti dopo lo strappo di un partito così pesante nella maggioranza di governo. I numeri in Parlamento ci sarebbero anche senza i Cinque stelle. Ma il governo rischia di essere paralizzato dai veti incrociati. Un’eventualità che Draghi non è disposto ad accettare perché «non è di questo che il Paese ha bisogno».
Col passare delle ore la tensione è cresciuta. E con lei gli appelli al senso di responsabilità. A partire dal Vaticano, col segretario di Stato Pietro Parolin a chiedere che «si lavori insieme» dare le sfide epocali che si avvicinano. Staremo a vedere se i suoi appelli sortiranno qualche effetto.