Chi è l’attentatore che ha ucciso l’ex premier nipponico? Si sa che è un ex militare di 41 anni e che nell’attentato avrebbe usato un’arma rudimentale.
Le prime immagini arrivate dal Giappone lo mostrano con sorta di «tracolla» nera: sarebbe quello il fucile artigianale usato nell’attentato.
Dell’attentatore che ha ucciso l’ex primo ministro Shinzo Abe si sa il nome e l’età: Tetsuya Yamagami, 41 anni. Si sa anche che dal 2002 al 2005 ha servito nella fanteria di Marina e che risiede nella stessa cittadina – Nara – dove ha messo a segno il suo attentato mortale. Dopo l’arresto ha detto di non aver agito per motivi ideologici, quanto piuttosto per un astio personale verso la prestigiosa figura dell’ex premier. Vale a dire per rabbia e risentimento. Cosa naturalmente da vagliare e verificare.
Se quanto affermato da Yagamani è vero potrebbe trattarsi di un profilo da cittadino-guerriero, un individuo iconoclasta in guerra col mondo. Una figura sempre più abituale a diverse latitudini, capace di organizzarsi da solo per lanciare la sua sfida alla società. E che lo fa coi mezzi a propria disposizione, anche caserecci. Una forma di terrorismo low cost ma ad alto impatto.
Pare che gli inquirenti abbiano rivenuto esplosivi in casa di Yamagani, altro indicatore di un personaggio capace di armeggiare con sostanze pericolose. Nell’attentato ha usato un’arma rudimentale. Le immagini lo ritraggono con una specie di «tracolla» nera: sarebbero due canne tenute assieme e avvolte da nastro isolante nero, dunque un’impugnatura. Una «doppietta» fai-da-te, che l’assalitore ha provato a mimetizzare in qualche maniera.
In rete si trovano istruzioni dettagliate per trasformare semplici tubi e materiale acquistabile da un ferramenta in un fucile rudimentale. In attesa di dettagli più precisi si può ipotizzare che Yamagani abbia pianificato accuratamente l’attentato: ha individuato l’obiettivo (forse seguendolo in altre circostanze), preparato l’arma, pensato al modus operandi. Infine, come ultimo passo, ha tirato fuori dal cilindro il trucco per avvicinarsi più che poteva a Abe, cogliendo di sorpresa la sicurezza. Centrando il bersaglio, purtroppo.
Yamagani non è il primo a fare ricorso a un armamentario fai-da-te, quasi una necessità in Giappone dove arrivare a possedere un’arma da fuoco richiede una trafila lunga e laboriosa, fatta di almeno 13 passaggi (il Guardian li ha contati). Esiste comunque una lunga tradizione di armi usate non solo da guerriglieri, ma anche da militanti e gang di strada.
Il militante neonazista che nel 2019 attaccò la sinagoga di Halle, in Germania, aveva fabbricato da sé il fucile e la mitraglietta usati nell’attacco. Anche gli insorti birmani ne hanno costruite diverse, come i gruppi criminali delle favelas brasiliane. Nei territori palestinesi in diversi episodi ha fatto capolino «Carlo», una mitraglietta artigianale che ha preso il nome dal lanciarazzi svedese Carl Gustav.
C’è poi la celebre la vicenda del britannico Phil Luty, un estremista di destra specializzatosi nella progettazione di queste armi artigianali e diventato una fonte di ispirazione per diversi attentatori. Alcune di queste armi, sebbene rudimentali, hanno fatto dei danni. La loro qualità varia naturalmente in base alle zone aree geografiche. Famose le produzioni sul confine tra Afghanistan e Pakistan, ma non bisogna sottovalutare le iniziative individuali. Per il futuro, si teme in particolare l’uso delle stampanti 3D.
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