A incidere, rispetto all’anno passato, è soprattutto il forte aumento del costo del gas per il quale ‘Italia pagherà 40,8 miliardi.
Una crisi energetica che però precede lo scoppio della guerra tra Ucraina e Russia e per la quale le sole misure emergenziali non basteranno.
Quest’anno l’Italia pagherà più che mai per avere energia. Nel 2022 la fattura energetica italiana toccherà la cifra record di 90 miliardi euro. Un aumento pari al 93%. È la stima fatta da Unem, l’Unione Energie per la Mobilità. Per la quale il boom è dovuto in gran parte all’aumento del prezzo del gas. Quest’anno l’Italia passerà a pagare 40,8 miliardi di euro per il gas, rispetto ai 19,3 miliardi del 2021.
Una cifra quasi raddoppiata che, spiega all’AGI il presidente Unem, Claudio Spinaci, è dovuta “in larga parte al forte incremento dei costi del gas. Il gas naturale, prima fonte energetica in Italia dal 2016, da settembre dello scorso anno lo è diventata anche in termini di esborso, superando la fattura petrolifera che storicamente costituiva invece la componente più rilevante”.
“La partita è davvero importante e il Governo italiano si è preso la responsabilità di non aderire al patto sull’auto elettrica firmato da molti stati alla COP26 di Glasgow nel novembre scorso” ha fatto sapere ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti nel messaggio mandato all’assemblea di Unem. “Riteniamo sia necessario – ha aggiunto Giorgetti – proporre alla Commissione europea una revisione del pacchetto ‘Fit for 55’ che in primis preveda l’applicazione del principio cardine della neutralità tecnologica”.
Unem: maggior incremento per il carbone
Nel 2022 in Italia i consumi totali di energia dovrebbero meno dell’1%, secondo le stime di Unem. Che sottolinea però come “nella seconda parte dell’anno potrebbe perdere slancio per una serie di cause legate al probabile rallentamento dell’economia e all’alta inflazione, a prescindere dall’elasticità ai prezzi”.
Spinaci fa notare “come il maggiore incremento è proprio per il carbone a fronte di un calo sia del gas che delle fonti rinnovabili. Quanto ai consumi dei prodotti autotrazione, sono tornati sui livelli pre-pandemia anche in anticipo rispetto a quanto avevamo previsto alla fine dello scorso anno, per una ripresa del trasporto privato a scapito di quello pubblico. Anche in questo caso potrebbe esserci un rallentamento a causa degli alti costi dei carburanti dovuto alla difficile congiuntura internazionale. Da questo punto di vista va detto che le compagnie hanno fatto quanto è stato possibile per contenere gli aumenti e lo dimostra l’andamento dello stacco con l’Europa”.
Una crisi energetica strutturale
La crisi energetica che sta attanagliando l’Europa molto più che gli Usa nasce prima della guerra in Ucraina, spiegano da Unem. Questo è dovuto al fatto che “l’Europa ha trascurato la sicurezza energetica preferendo un approccio ideologico ed estremamente pericoloso” ha detto Spinaci parlando di crisi “non congiunturale ma strutturale”.
Gli aumenti così improvvisi, afferma il presidente Unem, derivano da “squilibri preesistenti tra la domanda e l’offerta di energia che hanno rivelato tutte le fragilità della politica energetica dell’Europa che si è scoperta incapace di garantire approvvigionamenti sicuri e competitivi”. Non siamo di fronte, ribadisce Spinaci, a “un problema congiunturale, come molti hanno sostenuto, ma strutturale”. Per farvi fronte servono dunque risposte soltanto emergenziali, ma prima di tutto politiche di lungo termine.
I problemi maggiori, ha fatto presente Spinaci, “in una prima fase, hanno riguardato soprattutto il gas naturale il cui prezzo in Europa già a fine 2021, dunque ben prima della crisi Russia-Ucraina, era cresciuto di oltre il 400% rispetto a dicembre 2019, con aumenti più contenuti, ma comunque significativi, per petrolio (+24%) e carbone (+122%)”.
Con lo scoppio della guerra in Ucraina si è avviata una fase nuova “che ha inciso in modo più evidente sul petrolio, il quale ha raggiunto livelli record nonostante le attese per un rallentamento della domanda legato alla guerra e alla ripresa della pandemia in Cina. Il Brent l’8 marzo ha toccato i 128 dollari/barile contro i 75 medi del secondo semestre 2021 (+70%), ripiegando nelle settimane successive ma oscillando costantemente nella forchetta 105-120 dollari/barile”.