La Procura di Trento indaga per capire se la strage di escursionisti dovuta al crollo del ghiacciaio si poteva evitare.
Ma sono in molti a sostenere che l’eccezionalità dell’evento sia stata una tragica fatalità. Nel frattempo proseguono le ricerche dei dispersi, con molte difficoltà.
L’impressionante distacco del ghiacciaio della Marmolada ha lasciato da una parte lo strazio infinito di chi ha perso una persona cara, dall’altra l’impotenza dei soccorritori, impossibilitati a scavare: troppo pericolose le operazioni di soccorso e troppo duro il ghiaccio, che non si riesce a spaccare neanche col piccone. C’è il timore di nuovi crolli. Così si possono cercare i dispersi soltanto sorvolando i detriti: coi droni muniti di termocamere e con gli elicotteri, come quello della Guardia di finanza in grado, grazie al sistema «Imsi Catcher», di intercettare i segnali dei telefonini.
I soccorritori osservano dall’alto. Scendono solo se viene individuato qualche traccia che possa far pensare a una persona: un resto umano, un indumento, uno scarpone, uno zaino, una corda. Sotto l’enorme massa di ghiaccio, neve e roccia ci sono ancora tredici persone: dieci italiani e tre stranieri. Ma è difficile che qualcuno sia ancora vivo. È quando confida al ‘Corriere della Sera’ Mauro Mabbioni, che ha guidato la squadra di soccorritori rischiando la vita subito dopo il collasso del grande seracco. Lì, su quella distesa infinita, si è reso conto di cosa fosse davvero successo agli escursionisti travolti dalla valanga: «Ai corpi finiti nel vortice è successo qualcosa che fa male al solo pensiero. Non era neve ma ghiaccio tagliente». Difficile pensare che altri possano essere sopravvissuti.
La Procura di Trento indaga per disastro colposo
Finora sono sette le vittime accertate, tre sole delle quali identificate: due guide alpine e uno scalatore sportivo, tutti che venivano dal Veneto per passare una domenica ad alta quota. Poi ci sono poi gli otto feriti, due dei quali si trovano in rianimazione. Uno di loro ancora deve essere identificato. Il distacco improvviso del gigantesco blocco di ghiaccio li ha sorpresi mentre si trovavano sul Pian dei Fiacconi, una conca dove a volte ci si ferma per riprendere fiato e cambiarsi. Una massa enorme caduta dalla cima, che si è frantumata prendendo velocità e larghezza. Gli escursionisti sono finiti in una sorta di centrifuga. Tanto che «ci vorrà l’esame del dna per arrivare a un’identificazione di tutte le vittime», spiegano gli inquirenti. Sulla sciagura è stato aperto un fascicolo per disastro colposo. «La priorità è ora ricomporre i corpi dei deceduti e dare loro un nome, poi cercheremo di capire se ci sono anche delle responsabilità umane, oltre che climatiche. Esamineremo bene i filmati che abbiamo acquisito», dichiara il procuratore di Trento, Sandro Raimondi. Ora si dovrà capire se il disastro poteva essere evitato o se, invece, siamo nel campo dell’imprevedibile.
La difficoltà di valutare la sicurezza del ghiacciaio
Col caldo afoso di queste ultime settimane, anche in vetta la temperatura ha superato gli zero gradi. E la calotta risulta in costante fase di scioglimento, con la formazione di «piccoli ruscelli che possono erodere la base e provocare crolli», spiegano i glaciologi. Ci si chiede se ci sia stata una sottovalutazione del rischio. E d’altro canto chi doveva valutare se il ghiacciaio fosse sicuro o meno? «Non è previsto un monitoraggio di questo tipo», spiega il sindaco di Canazei, Giovanni Bernard, che adesso ha chiuso in via precauzionale l’accesso alle ascese con un’ordinanza concordata con gli altri sindaci di Pozza di Fassa e Rocca Pietore, i Comuni trentini su cui ricade la Marmolada, dove transita anche il confine col Veneto. Il ghiacciaio, aggiunge il primo cittadino di Canazei, è studiato da esperti che periodicamente salgono per indagare sullo scioglimento, nel tentativo di prevedere gli sviluppi futuri. «Ma si tratta di un lavoro con finalità scientifiche, non di sicurezza», spiega Bernard. «Se poi qualcuno ha visto un pericolo, certo, avrebbe dovuto segnalarlo. Ma se non l’ha fatto evidentemente non pensava che ci fosse».
Anche Dimitri De Gol, il tecnico del Soccorso alpino tra i primi ad arrivare domenica sul luogo della tragedia, sposa la linea della fatalità: «Io non ci vedo responsabilità, solo un evento unico di una magnitudo impressionante. Quest’anno lassù è molto secco, molto crepacciato e fa tristezza ma non è colpa di nessuno».