E poi, rivolgendosi a Lucia Monteiro, la madre di Willy:«Il suo odio è lo stesso che prova mia madre verso il vero assassino»
In una missiva mandata ad Adnkronos, Marco Bianchi, uno dei due fratelli accusati assieme ad altri due giovani di aver assassinato Willy Monteiro nella notte tra il 5 e il 6 settembre 2020, si rivolge soprattutto al pubblico, che secondo lui è influenzato dalla descrizione con cui i media hanno dipinto lui e suo fratello e a Lucia Monteiro, madre del 21enne deceduto due anni fa a Colleferro.
«Ho toccato il fondo. Ecco la vostra soddisfazione. È una cosa che non auguro a nessuno, la sensazione di essere da soli, al buio. Sono andato giù, ma oggi ho deciso di rialzarmi e combattere per la verità e per la vita. Io e Gabriele siamo ragazzi di cuore, sinceri. Tutte quelle cattiverie che hanno detto contro di noi non sono vere, sono state solo bugie su bugie per farci toccare il fondo. Siamo stati descritti sin dall’inizio, senza conoscere gli atti del processo, come mostri e assassini», ha scritto Marco Bianchi.
Bianchi cita poi implicitamente Belleggia, che attualmente è ai domiciliari:«Il colpevole non si è preso le proprie responsabilità. Ancora con il sangue sulle scarpe, se ne sta tranquillo in casa sua». Poi continua:«Sia io che Gabriele continueremo sempre, da uomini veri, a dire che non c’entriamo nulla con questo crimine. Non siamo degli psicopatici che negano davanti all’evidenza e prima o poi la verità uscirà fuori. C’è una grande differenza tra farsi la galera da colpevoli e farsela da innocenti.
E quando tutto questo finirà, se ci sarà la possibilità di incontrarmi un giorno, rimarrete a bocca aperta, stupiti, capendo che non siamo le brutte persone descritte dai media: quel ragazzo non è morto per mano nostra. L’ho messo in chiaro in aula, davanti al giudice, guardando in faccia la povera madre di Willy».
Nella lettera, Marco Bianchi si rivolge a Lucia Monteiro, madre di Willy:«Signora mia, ogni volta che ho la possibilità di guardarla, vedo il dolore e l’odio che può provare per chi le ha portato via suo figlio. È lo stesso sentimento che leggo negli occhi di mia madre, che è morta dentro e prova rancore per il vero colpevole, il bugiardo che ha rinchiuso i suoi figli in carcere al suo posto, per un crimine che non hanno commesso».
Sempre rivolgendosi a Lucia Monteiro, Marco Bianchi le scrive:«Signora, io la guarderei come guardo mia madre. Se io e mio fratello fossimo gli artefici della morte di suo figlio, mai ci saremmo permessi di sostenere il suo sguardo come abbiamo fatto durante il processo, di guardarla come se guardassimo nostra madre. Non ci saremo mai permessi di negare le nostre responsabilità per tornare liberi: io, personalmente, mi sarei sentito sporco e infame. Se fossimo noi i veri responsabili di tutto questo, le avrei dato subito la soddisfazione che stavamo pagando la giusta pena. Parlo per me, ma anche per mio fratello che è in carcere senza aver toccato Willy con un dito».
Bianchi sottolinea il fatto che la Mma avrebbe insegnato a lui e a suo fratello a «essere uomini, non assassini». Sostiene inoltre di aver detto subito la verità, asserendo di aver dato «una spinta e un calcio» a Willy per farlo allontanare «dal mio amico Omar (Shabani, ndr), ma l’ho colpito al fianco, vero è che non ha nemmeno fatto in tempo a cadere che si è subito rialzato».
E ancora afferma che non avrebbe mai infierito, «con le responsabilità che derivano dallo sport che sia io che mio fratello praticavamo. A noi la Mma ha insegnato ad essere uomini, ad avere il controllo di noi stessi e ad essere sempre lucidi nelle azioni che commettiamo. Lo sport non ci ha insegnato certo ad essere assassini, al contrario ad essere responsabili, ad avere il pieno controllo della nostra forza».
Infine, chiosa la sua lettera diretta a Lucia Monteiro, dicendo che in 25 anni lui e Gabriele non hanno mai assunto droga, «siamo stati sempre lucidi per non commettere sciocchezze, per non rovinarci la vita. Spero al più presto che scoprirà la verità per poter avere la meritata soddisfazione di poter dire a suo figlio di averlo difeso, di aver assicurato i responsabili della sua morte alla giustizia. Ma non siamo noi».
Poi esprime un timore:«La paura più grande, che non ci dà pace è quella di farci la galera per un fatto mediatico, non perché colpevoli. Prima o poi la verità uscirà fuori e spero sia dimostrata l’innocenza mia e di mio fratello, perché possa ritornare lui dalla sua famiglia e io crearmene una. Confido nella giustizia, la verità verrà fuori», ha poi chiosato.
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