Perché l’Italia ha più acqua di tutti in Europa ma soffre tantissimo a causa della siccità. Parla Erasmo D’Angelis, esperto di acque e problemi ambientali.
Si tratta di problemi antichi, strutturali, ai quali nessun governo ha mai messo davvero mano, una volta passate le emergenze.
Erasmo D’Angelis, giornalista ambientale e ecologista di lungo corso, è uno dei maggiori esperti italiani di acque e dei problemi legati all’ambiente e al clima. Ha da poco pubblicato, per Giunti Editore, “Acque d’Italia”. D’Angelis, oggi segretario generale dell’Autorità di bacino dell’Italia Centrale, è stato anche presidente di Publiacqua, l’azienda degli acquedotti e della depurazione della Toscana centrale. Ha presieduto la Commissione Ambiente del Consiglio Regionale della Toscana ed è stato sottosegretario del Governo Letta con delega anche alle dighe e infrastrutture idriche. Ha ideato e coordinato Italiasicura, la struttura di missione di Palazzo Chigi per contrastare il dissesto idrogeologico e lo sviluppo delle infrastrutture idriche.
In una lunga intervista all’AGI, l’esperto ha detto la sua sull’ultima emergenza di questi giorni: la siccità che sta sferzando la Penisola, da nord a sud. La novità di questa pesantissima siccità è aver colpito anche il Nord, “in condizioni mai viste”. Si tratta, dice D’Angelis, di “un campanello d’allarme forte. Ecco perché il Pnrr deve finanziare la Rete delle reti, che sono le vie d’acqua. Va bene finanziare le reti stradali, autostradali, ferroviarie, le reti digitali, ma la rete idrica è essenziale, vitale. Siamo rimasti all’Ottocento, a quelle opere lì, il Canale Cavour, ma ora bisogna avviare un nuovo cantiere di opere come è stato fatto alla fine di quel secolo e negli anni ’50 e ’60 del dopoguerra. È un lavoro enorme, ma va fatto”.
D’Angelis sottolinea quello che potremmo chiamare il paradosso italiano dell’acqua: “Siamo un paese paradossale, perché siamo il Paese più ricco d’acqua d’Europa e questa è una cosa da Settimana Enigmistica. Incredibile, ma è vero”.
L’Italia infatti ha “un cumulato di pioggia elevato, anche perché due terzi dell’Italia è fatto da colline e montagna e sui rilievi piove tanto. Non ce ne accorgiamo, perché viviamo tutti in pianura, ma abbiamo piogge medie l’anno per 302 miliardi di metri cubi”. Basti pensare, prosegue ‘l’esperto, che “a Roma piovono ogni anno in media circa 800 millimetri di pioggia, a Londra 760 e però, nell’immaginario, l’Inghilterra è il Paese delle piogge come la Germania, la Francia. Noi abbiamo più piogge, più corsi d’acqua di ogni altro paese europeo: ne abbiamo 7.596, di cui 1.242 sono fiumi. Ma tutti i nostri corsi d’acqua, di cui oggi la gran parte sono in secca, alcuni sono addirittura polvere, hanno – unico paese europeo di queste dimensioni – un carattere torrentizio, non fluviale come sono i grandi fiumi europei, che sono lunghi oltre mille chilometri, larghi che sembrano enormi laghi. Ma in Italia se c’è pioggia hanno acqua, se non c’è vanno in secca subito. Infatti rischiamo le alluvioni proprio perché d’improvviso non ce la fanno ad assorbire l’acqua”.
La situazione attuale appare dunque la combinazione letale di un paradosso e di una contraddizione. Per d’Angelis “il paradosso è che siamo ricchi d’acqua, abbiamo 342 laghi, ma siamo poverissimi d’infrastrutture idriche. I grandi investimenti italiani negli schemi idrici si sono fermati negli anni ’60 dal Novecento. E da lì in poi, trent’anni dopo, lo Stato ha cancellato di fatto dai fondi pubblici tutte le risorse per il bene pubblico e con la legge Galli del 1996 ha delegato per l’idropotabile tutto alle risorse della tariffa e non sono state più costruite né dighe né invasi”.
Una situazione che ha portato ai risultati sotto gli occhi di tutti, incalza l’ex presidente di Publiacqua: “Noi abbiamo 526 grandi dighe più circa 20 mila piccoli invasi. Immagazziniamo oggi più o meno l’11,3% dell’acqua piovana in questi contenitori. Cinquant’anni fa se ne immagazzinava circa il 15%, perché nel frattempo non essendoci manutenzione, sfangamenti – i sedimenti mano a mano si accumulano e lo spazio per l’acqua si riduce –, il risultato è che abbiamo queste grandi dighe che non vengono ripulite perciò riescono a stoccare sempre meno acqua“.
Acqua dunque ce ne sarebbe in abbondanza. Il problema, per l’Italia, è quello di non riuscire a trattenerla. “Ne sprechiamo una quantità inenarrabile”, fa osservare D’Angelis. “Fatto 100 i prelievi dell’acqua, noi però sappiamo quasi tutto solo di un segmento del 20%, che è poi l’acqua che arriva al rubinetto. Ed è l’unica acqua controllata da un’autorità, che è Arera, Autorità di controllo di energia, gas, acqua che controlla le aziende idriche. E sappiamo che nei 600 mila km di rete idrica italiana noi perdiamo per strada il 42% di acqua. Uno scandalo, la più alta percentuale mai esistita“.
Mentre sul restante 80% “non c’è alcuna autorità di controllo, di regolazione. Circa il 51% viene utilizzato in agricoltura, dove se ne spreca almeno la metà con l’irrigazione a pioggia, e poi c’è un 25% di acqua prelevata per usi industriali”. L’Italia, spiega D’Angelis, è “l’unico paese europeo che con l’acqua potabile ci lava i piazzali, gli automezzi, raffredda gli impianti produttivi, quando potrebbe esser fatto con il riuso delle acque di depurazione, di riciclo. Noi abbiamo ottimi depuratori da cui fuoriescono più o meno 9 miliardi di metri cubi acqua ogni anno, anche di grande qualità, trattata, depurata, e la ributtiamo a mare…”
Ributtata in mare. Appare incredibile, ma è così. Questo perché, sottolinea D’Angelis, “siamo l’unico paese europeo che non riusa l’acqua di depurazione. E da giugno del prossimo anno l’Europa ci sanziona anche per questo motivo. Abbiamo un ritardo pazzesco nelle infrastrutture idriche dell’acqua che va al rubinetto perché con la legge Galli tutto è delegato alla bolletta e avendo noi la bolletta più bassa d’Europa, non è che con i proventi si possono fare grandi riparazioni, sostituzioni, sono costose. L’acqua non è più nei bilanci dei Comuni, delle Regioni. La conclusione di questo stato paradossale è il Pnrr: su quasi 200 miliardi l’acqua ne ha l1, il 2% delle risorse. Una cosa indecente“.
E l’Italia viene sferzata da una crisi idrica causata, più che dalla carenza d’acqua, da una crisi infrastrutturale. Si tratta, spiega D’Angelis, di “un problema di stoccaggio e distribuzione. Oggi ci mancano almeno 2.000 piccoli e medi invasi ma c’è il piano dei Consorzi di bonifica che ne ha 400 pronti e progettati solo da sbloccare”. A impedire lo sblocco dei progetti la mancanza di finanziamenti, frutto, sottolinea l’esperto di “molto disinteresse e rimozione del problema acqua“.
Tutti i governi, incluso il presente, tendono a rimuovere le emergenze, una volta passate. L’Italia, ricorda D’Angelis, ha avuto due grandi siccità, quelle del 2003 e del 2007. “Ma come accade in tutte le cose passata l’emergenza ce ne dimentichiamo, rimuoviamo tutto. Dopo le grandi emozioni arrivano le grandi rimozioni. La nostra indole è questa: dimenticare“.
La siccità di questi giorni è uno degli effetti dei cambiamenti climatici già previsti da vent’anni, osserva D’Angelis. Le previsioni avevano parlato di ondate di calore costanti, precoci, che avrebbero colpito la fascia mediterranea. Addirittura alcuni esperti, come il luminare dell’idrologia Renzo Rosso, hanno detto che questo potrebbe essere l’anno più fresco dei prossimi trenta che ci aspettano. Siamo davanti dunque a “un problema enorme e che va gestito con una pianificazione che può durare anni ma che è importante fare da subito. È come per l’altra faccia delle alluvioni, passata l’emergenza nessuno pensa a mettere in sicurezza il territorio”.
D’Angelis auspica un G7 o un G20 sull’acqua. Ma intanto è vitale che “in Italia si facciano almeno sedute straordinarie del Parlamento per lanciare un Piano acqua per i prossimi trent’anni, con risorse adeguate. Alcune cose vanno messe in cantiere subito, immediatamente i 400 medi e piccoli invasi in tutta Italia, un set di tecnologie in l’agricoltura per il risparmio idrico, un’agricoltura di precisione o 4.0 della Coldiretti, tutte cose che fanno risparmiare il 70% delle risorse irrigue. Si deve portare acqua in tutte le fasce costiere dove il cuneo salineo sta penetrando per 15, 20 chilometri nell’entroterra. Il Piave, fiume Sacro alla Patria della Prima Guerra Mondiale, che d’improvviso tracimò sbarrando la strada e inghiottendo il nemico che lo stava attraversando, “il Piave mormorò…”, per 13 km è salato. Il mare avanza. Man mano che si riducono le falde dolci costiere perché s’irriga e si svuotano, quelle si riempiono con l’acqua salmastra del mare che sale. L’acqua va portata lì, altrimenti quelle aree si desertificano. Già un 20% di fascia costiera è desertificato e l’agricoltura non può più esser praticata”.
La raccomandazione di D’Angelis e quella di “non sprecare più neanche una goccia d’acqua, è la raccomandazione numero 1″. Certo senza lavarsi di meno o arrivare alle esagerazioni del presidente onorario del Wwf, Fulco Pratesi, che si cambia le mutande ogni 3-4 giorni… “No, no, laviamoci, beviamo, perché comunque non siamo in un’area desertica. L’igiene è la prima cosa”, sottolinea l’esperto. “Quanto a Fulco, lo fa anche quando ci sono piogge torrenziali. È il suo stile di vita. Da sempre ha quest’approccio accorto sull’uso delle risorse naturali. Ma sono soluzioni estreme. Non dimentichiamoci che l’Italia ha tutte le forme dell’acqua del Pianeta Terra, dai ghiacciai alle cascate, le paludi, fiumi, laghi, laghetti. Ci rendiamo conto? Nessun Paese è come il nostro, eppure siamo in questa condizione per lo spreco, la mancanza di infrastrutture, lo scarso impiego delle tecnologie per il risparmio e un piano per il riuso dell’acqua adeguato”.
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