Il ruolo di Peter Daszak e della EcoHealth Foundation è centrale per comprendere che cos’era davvero il laboratorio di Wuhan
Nel Febbraio del 2020, 27 scienziati pubblicano una dichiarazione congiunta sulla rivista scientifica The Lancet. La pandemia che di lì a poco sconvolgerà il mondo intero è al suo esordio in Occidente, e quelli sono i giorni in cui se ne inizia ad avvertire la pericolosità.
Prima di quel momento quanto era accaduto Wuhan, sembrava un episodio lontano, troppo lontano per pensare di trovarsi di fronte al preludio di un dramma che avrebbe finito con il mettere in ginocchio l’intero Occidente.
Al momento della pubblicazione dell’articolo su Lancet invece, vi era già la chiara percezione, in America e nel vecchio continente, di trovarsi di fronte a un fenomeno che nell’ultimo secolo era stato quasi dimenticato, e alcuni scienziati sentono il bisogno di “condannare fermamente teorie del complotto che suggeriscono che il Covid-19 non abbia un’origine naturale”.
Una presa di posizione netta, rivendicata con forza affinché la drammaticità di una simile emergenza sanitaria, con tutte le conseguenze, non venisse ridicolizzata in modo inopportuno.
Tra i firmatari di questo articolo spicca il nome di Peter Daszak, scienziato americano esperto di coronavirus, che in quei drammatici mesi diventa un punto di riferimento per i media. Daszak avrà fin dall’inizio un ruolo molto importante nella gestione della pandemia, al punto che verrà inserito anche nella task force che Lancet aveva creato per provare a fornire una spiegazione sull’origine di questo virus, ma cosa ancora più importante, sarà selezionato dal team di ricerca dell’OMS inviato in Cina per indagare su quanto era accaduto nel laboratorio di Wuhan.
A un certo punto però, sarà costretto a dimettersi da questo ruolo.
Il think thank Project Veritas porterà alla luce dei documenti che metteranno lui ed Anthony Fauci in una posizione molto scomoda.
Si scoprirà che, con quel laboratorio su cui era stato chiamato a indagare, l’uomo aveva dei legami molto stretti.
Cosa ha scoperto Project Veritas
Nel marzo del 2018, Peter Daszak, a capo dell’organizzazione no-profit Eco Health Alliance, presenta alla Darpa americana un progetto chiamato con il nome in codice Defuse. L’uomo chiede 14 milioni di dollari di finanziamento spalmato su tre anni, per studiare in modo più approfondito la famiglia dei coronavirus, e modificarli in modo da comprenderli meglio, nella speranza di poter “ricavare” delle nuove cure contro questo virus.
La Darpa apprezza la valenza scientifica del progetto ma rifiuta la proposta di Dasak. Il motivo è abbastanza semplice, o quantomeno così traspare dalla relazione scritta della Darpa: Daszak sta proponendo un esperimento basato sul guadagno di funzione, una pratica che consiste nel modificare un virus cambiandone le caratteristiche principali e che negli Stati Uniti è illegale dopo la moratoria voluta da Obama nel 2014. Nella valutazione scritta rilasciata dall’agenzia si legge come “La proposta non menziona o valuta i potenziali rischi della ricerca Gain of Function (GoF)”,
Perché Daszak finisce a studiare i coronavirus nel laboratorio di Wuhan?
La rivista Judicial Watch riuscirà, a metà del 2021, ad avere accesso a circa 129 pagine di documenti provenienti dall’HHS, il dipartimento americano sulla salute e i servizi umani. Il giornale riesce ad accedere a delle e-mail destinate ad Anthony Fauci che mettono in rilievo i legami tra il laboratorio di Wuhan e la EcoHeath Alliance di Daszak.
Dopo il rifiuto della Darpa, Daszak porterà avanti il suo progetto proprio all’interno del laboratorio di Wuhan. Il motivo viene spiegato in un rapporto pubblicato il 6 Gennaio 2020 e denominato Wuhan Pneumonia Update. Un documento in cui viene fuori come il presidente della EHA, aveva spostato il suo lavoro nel laboratorio di Wuhan “per capire come si evolvono i coronavirus e saltano a popolazioni umane”.
Nel laboratorio di Wuhan oltretutto, c’era un’attenzione particolare allo studio dei coronavirus per via della presenza di una delle più grandi esperte scientifiche sul tema, Shi Zhengli, conosciuta come la “Bat Woman” cinesi per via dei suoi studi tra coronavirus e pipistrelli.