Assalto al Campidoglio: Trump perseguitava Dipartimento Giustizia e chiedeva sequestro macchine elettorali

Assalto al Campidoglio: Trump perseguitava il Dipartimento Giustizia “ogni giorno” e chiedeva il sequestro delle macchine elettorali. Le dichiarazioni di tre funzionari alla Camera.

Secondo quanto emerso dalle ultime testimonianze rilasciate nell’udienza della Commissione sui fatti del 6 gennaio 2021, l’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, avrebbe chiesto all’allora procuratore generale Jeffrey Rosen di sequestrare le macchine elettorali per il voto elettronico alla fine di dicembre 2020. Avrebbe inoltre perseguitato sia Rosen che il Dipartimento di Giustizia ogni giorno, facendo pressioni e presentando un “arsenale di accuse false”. “Non avevamo riscontrato nulla di anomalo per quanto riguardava le macchine per il voto, anche dopo aver sentito gli esteri. Quindi ho detto che non era una cosa appropriata da fare”, ha testimoniato Rosen.

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assalto al Campidoglio: Trump perseguitava Dipartimento Giustizia e chiedeva sequestro macchine elettorali – meteoweek.com

A lasciare la sua testimonianza anche l’ex funzionario del Dipartimento di Giustizia, Richard Donoghue, che avrebbe inoltre raccontato di quanto Trump fosse “molto agitato” non appena gli venne riferito che il dipartimento non sarebbe intervenuto per sequestrare le macchine. “Avrebbe potuto scatenare una crisi costituzionale”, ha insistito Donoghue.

Trump perseguitava il Dipartimento “ogni giorno”

Come spiegato nel dettaglio dal resoconto di AP News, Donald Trump avrebbe perseguitato il Dipartimento di Giustizia per perseguire le sue false accuse di frode elettorale, sforzandosi invano di arruolare alti funzionari delle forze dell’ordine nel suo disperato tentativo di rimanere al potere, cedendo soltanto quando è stato avvertito nello Studio Ovale delle dimissioni di massa. Questo è quanto ricostruito nella giornata di ieri durante il Pannello della Camera, che indaga sulla rivolta del Campidoglio del 6 gennaio 2021.

Le testimonianze sono state offerte da tre funzionari del Dipartimento di Giustizia dell’era Trump. I testimoni hanno raccontato di aver subito insistenze da parte dell’ex presidente, giorno dopo giorno, con tutte le direttive da seguire per avanzare le accuse secondo cui le elezioni vinte dal democratico Joe Biden erano state truccate. Hanno anche detto, però, di aver rifiutato ogni richiesta avanzata da Trump, poiché non c’erano prove di una frode diffusa. I funzionari si sarebbero dunque uniti quando l’ex presidente ha valutato la sostituzione del Procuratore generale degli Stati Uniti d’America, Jeffrey Rosen, con un funzionario di livello inferiore intenzionato ad aiutare Trump ad annullare i risultati.

L’udienza, la quinta della giuria che ha indagato sull’assalto al Campidoglio, ha chiarito che l’ampia campagna di pressione di Trump ha preso di mira non solo i funzionari elettorali in tutto lo stato, ma anche le sue stesse agenzie esecutive. I testimoni hanno descritto l’atteggiamento dell’ex presidente come una violazione del protocollo, soprattutto perché il Dipartimento di Giustizia ha protetto a lungo la sua indipendenza dalla Casa Bianca, e ha da sempre cercato di evitare considerazioni di parte nelle decisioni investigative.

Quando si danneggiano le nostre istituzioni fondamentali, non è facile ripararle“, ha affermato Jeffrey Rosen, il Procuratore generale ad interim negli ultimi giorni dell’amministrazione Trump. “Quindi ho pensato che questa fosse una questione davvero importante, per cercare di assicurarmi che il Dipartimento di Giustizia fosse in grado di rimanere sulla strada giusta”, ha sottolineato Rosen.

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da sinistra: Steven Engel, ex procuratore generale aggiunto per l’Office of Legal Counsel; Jeffrey Rosen, ex procuratore generale ad interim; Richard Donoghue, ex vice procuratore generale ad interim (foto via AP) – meteoweek.com

L’udienza si è concentrata su un periodo particolarmente tumultuoso vissuto dal Dipartimento, dopo la partenza nel dicembre 2020 del Procuratore Generale William Barr, che ha scatenato l’ira di Trump con la sua proclamazione pubblica secondo cui non c’erano prove di frode che avrebbero potuto cambiare i risultati delle elezioni. Barr è stato allora sostituito dal suo vice, Rosen, che ha affermato che per un periodo di circa due settimane dopo aver accettato il lavoro, ha incontrato o è stato chiamato da Trump praticamente ogni giorno. Forte era, da parte dell’ex presidente, “l’insoddisfazione per il fatto che il Dipartimento di Giustizia, a suo avviso, non avesse fatto abbastanza per indagare sulle frodi elettorali”, ha spiegato alla Camera.

Trump avrebbe poi presentato al dipartimento un “arsenale di accuse”, nessuna delle quali vera, ha sottolineato Richard Donoghue, un altro alto funzionario che ha testimoniato sempre nella giornata di giovedì. Inoltre, Trump ha spinto il dipartimento a sequestrare le macchine elettorali, a nominare un legale speciale per indagare sulle accuse di frode, e a dichiarare che le elezioni erano state corrotte. Il dipartimento, però, non ha eseguito nessuna di queste indicazioni. “Se il dipartimento si fosse inserito nel processo politico in questo modo, penso che avrebbe avuto gravi conseguenze per il Paese. Avrebbe potuto benissimo catapultarci in una crisi costituzionale”, ha detto Donoghue.

La testimonianza ha mostrato che Trump, tuttavia, ha trovato un alleato volontario all’interno del dipartimento, ovvero un avvocato delle forze dell’ordine, che sarebbe diventato il leader della divisione civile dell’agenzia. L’avvocato, Jeffrey Clark, era stato presentato a Trump da un membro del Congresso repubblicano e si era presentato come un ansioso sostenitore delle accuse di frode elettorale. In una controversa riunione nello Studio Ovale, avvenuta la notte del 3 gennaio 2021 (appena tre giorni prima dell’insurrezione) Trump avrebbe persino valutato il rimpiazzo di Rosen con Clark – sebbene abbia poi fatto marcia indietro, minacciato dagli avvertimenti di dimissioni di massa.

Il nome di Clark è stato citato spesso nella giornata di giovedì. Il rappresentante Adam Kinzinger, repubblicano dell’Illinois e membro del comitato, lo avrebbe definenito “un avvocato la cui unica qualifica era la sua fedeltà a Trump, e la sua disponibilità a fare tutto ciò che il presidente voleva, incluso rovesciare un governo libero ed equo e le elezioni democratiche”.  Mentre i legali di Clark non hanno commentato la vicenda, sarebbe giunta la notizia (appena un’ora prima dell’inizio dell’udienza) della perquisizione effettuata in casa dell’avvocato. Non è ancora chiaro, però, cosa stessero cercando gli agenti.

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