Il maresciallo Eugenio Fasano morì nel gennaio 2019 dopo una partita con i colleghi all’Antico Circolo del Tiro al Volo.
Il gip respinge la richiesta di archiviazione. Disposta l’autopsia per fare luce sulle cause della morte.
Niente archiviazione per la morte di Eugenio Fasano, il carabiniere morto a Roma il 22 gennaio 2019. Una morte misteriosa, avvenuta dopo una partita di calcetto con i colleghi all’Antico Circolo del Tiro al Volo al Parioli.
I magistrati avevano ipotizzano il reato di omicidio colposo. E per il Gip le indagini non possono essere archiviate senza un’autopsia che spieghi come è morto Fasano. Lo ha detto chiaramente il giudice Nicolò Marino nel respingere la richiesta di archiviazione della Procura. Così ha ordinato ai pm di proseguire con le indagini disponendo l’autopsia e sentendo altri testimoni. Un’attività che dovrà svolgersi entro sei mesi. Senza autopsia manca la prova certa che il carabiniere 39enne sia morto per circostanze naturali. E nemmeno si può dire l’opposto.
Certo è che il maresciallo Fasano ha perso conoscenza negli spogliatoi del prestigioso circolo romano al termine di una partitella tra colleghi, morendo due giorni dopo all’ospedale Umberto I. Tredici mesi dopo la cognata della vittima ha sporto denuncia: sospettava una correlazione tra “l’arresto cardio- circolatorio in infarto miocardio acuto” diagnosticato e le gravi lesioni riscontrate nella cartella clinica: undici costole fratturate, la rottura di un’arteria, perforazioni a un polmone e allo sterno.
Sentiti dalla Procura i giocatori, il personale sanitario intervenuto, i dottori dell’ospedale Umberto I, il medico dell’Arma che ha soccorso il maresciallo e anche i dipendenti del circolo. Acquisita anche la documentazione sanitaria.
Per i consulenti del pubblico ministero “l’analisi della documentazione in atti permette di affermare con assoluta certezza che il decesso del signor Eugenio Fasano rappresenta una morte improvvisa da sport“. Sulla base di questo responso la Procura ha chiesto di archiviare il caso, facendo leva anche sull’identica decisione del tribunale militare arrivata al termine di in un’indagine parallela.
Il legale di parte civile però ha fatto opposizione osservando che i consulenti del pm “hanno scritto una sequenza non conforme a verosimiglianza storica degli eventi” e “hanno sbagliato nell’identificare i medici intervenuti sul posto”. Depositata anche una consulenza – a firma del dottor Donato Labella – con “risultati diametralmente opposti rispetto a quelli a cui sono pervenuti i medici“ della Procura. “Un massaggio cardiaco, pur intenso e prolungato, può fratturare le coste, ma non sicuramente far sì che i campi fratturativi si sovrappongano“, afferma il legale che pone anche la questione delle tumefazioni presenti sul corpo di Fasano.
La famiglia del maresciallo chiede di sapere come mai, se il carabiniere è morto a causa di un infarto, non gli è mai stata diagnosticata alcuna patologia cardiaca. Così come vuole sapere se il massaggio cardiaco è stato eseguito correttamente.
L’avvocato chiede di esaminare altre prove: l’autopsia, il referto arbitrale, i tabulati del telefono e altre testimonianze. La famiglia infatti è convinta che “l’infarto non sarebbe la causa prima della morte ma la conseguenza di un altro evento“. Ovvero un’aggressione che per la procura non si è mai verificata. Per i pm è stata una tragedia, ma per la famiglia dietro la morte del carabiniere c’è qualcosa di più oscuro. Sarà l’autopsia a fare luce su quanto accaduto.
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