Si cerca di capire se le tracce siano state portate dall’esterno o se dimostrino invece che l’omicidio è avvenuto in casa di Martina Patti.
L’arma del delitto non è ancora stata trovata. La mamma 24enne della piccola Elena guardata a vista in carcere.
Sangue sui vestiti e in alcuni punti della casa. Sono le tracce trovate dai Ris dei Carabinieri nell’abitazione di Martina Patti, la giovane mamma rea confessa dell’omicidio della figlia Elena. Ancora non è stata recuperata l’arma del delitto, un coltellaccio da cucina. I Ris hanno lavorato per sei ore sabato sera, perlustrando palmo a palmo, grazie all’aiuto dei droni, anche il campo dove è stato trovato il corpicino senza vita della piccola. Ma per ora il coltello non è saltato fuori.
Le tracce di sangue — fanno osservare gli inquirenti — non sono sufficienti a far ipotizzare che l’uccisione sia avvenuta all’interno delle mura domestiche. Potrebbe averle lasciate dietro di sé Martina tornando a cambiarsi in casa, prima di inventarsi di sana pianta la storia del rapimento degli incappucciati. In cucina, sul tavolo, si trovava ancora una parte del budino che la bambina stava consumando prima di essere portata nel campo dove la madre l’ha uccisa sferrandole undici coltellate. I carabinieri hanno sequestrato altri coltelli da cucina per controllare se possano essere compatibili con le ferite da taglio sul corpo della bimba. Portati via anche vestiti della giovane madre.
Martina Patti sotto stretta sorveglianza
Intanto Martina Patti resta in carcere. Ha passato la sua sesta notte in cella nel carcere di Piazza Lanza. La polizia penitenziaria la tiene sotto stretta sorveglianza per il timore che possa compiere gesti autolesionistici o che possa essere aggredita da altre detenute.
Il suo avvocato Gabriele Celesti, che fatto sapere che Martina «non è serena», sta vagliando la strategia difensiva da adottare nel corso del procedimento, dopo che il gip ha convalidato l’arresto della mamma di 24 anni disponendone la custodia cautelare in carcere. Una decisione giustificata dal fatto che, a giudizio del giudice Daniela Monaco Crea, l’indagata «è pericolosa socialmente e potrebbe tornare a uccidere, inquinare le prove e fuggire».