Il governo ucraino ha deciso di bandire i classici russi dalla nazione.
Il 21 Maggio 2022 l’ex primo ministro della Svezia Carl Bildt condivide un’immagine sui social che ci mette poco a destare scalpore. Una foto che raffigura alcuni libri ammassati tra le fiamme, postata per accusare la Russia di aver dato inizio anche alla distruzione della cultura ucraina, mettendone al rogo i libri.
Al giornale transalpino France24 è comunque bastato poco per scoprire che la foto postata dall’ex premier era un falso.
Era stata scattata in Crimes nel 2010.
L’annuncio della direttrice dell’Istituto del Libro Ucraino
Se oggi la Russia di Vladimir Putin ha deciso di invadere l’Ucraina e riportare la grandezza dell’impero zarista ai fasti di un tempo, come sostengono i suoi avversari politici, lo si deve soprattutto a scrittori come Fyodor Dostoevsky, che hanno contribuito in modo decisivo a forgiare e alimentare l’aurea messianica a cui questa nazione fa affidamento per giustificare il suo interventismo militare.
Questa, quantomeno, è la tesi di cui Oleksandra Koval, direttrice dell’Istituto del Libro Ucraino, si dichiara profondamente convinta.
A fine maggio, il Ministero della Cultura ucraina ha dato il via libera per la rimozione dei grandi classici della letteratura russa dalla nazione.Oltre cento milioni di copie che adesso vengono considerate da Kiev come pura propaganda russa, e così anche Dostoevskij diventa un autore da non far circolare tra le giovani generazioni ucraine.
“Questa è davvero una letteratura molto dannosa, può davvero influenzare le opinioni delle persone. Pertanto, la mia opinione personale è che questi libri dovrebbero essere rimossi anche dalle biblioteche pubbliche e scolastiche. Probabilmente dovrebbero rimanere nelle biblioteche universitarie e scientifiche affinché gli specialisti studino le radici del male e del totalitarismo”, ha dichiarato la Koval
Molto prima dell’inizio del conflitto di fine febbraio, il governo di Kiev ha portato avanti una campagna di odio molto profonda nei confronti della Russia, del suo popolo e della sua cultura, che non ha tardato ad attecchire anche in Occidente, dove nelle prime settimane di guerra, si rifletteva ad esempio sull’opportunità di ospitare all’interno delle università monografie e corsi di studio dei grandi letterati russi. Non dovrebbe dunque sorprendere la scelta di alimentare questo odio con un atto simbolico dal valore indiscutibile: bruciare Dostoevsky, spiegare al popolo ucraino l’importanza di questo gesto.
Demonizzare l’invasore.
Subito dopo l’intervista rilasciata dalla Koval, è intervenuto Oleksandr Tkachenko, ministro della cultura e dell’informazione ucraina, che non solo ha rivendicato con forza la scelta di mettere al rogo i classici russi, che ha paragonato senza problemi a “carta straccia”, ma ha anche promesso che questa distruzione continuerà: “Vogliamo farlo più velocemente, ma sarebbe positivo se almeno la letteratura dannosa pubblicata in epoca sovietica, così come la letteratura russa di contenuto anti-ucraino, fossero completamente ritirate entro la fine dell’anno”.
Il fatto che nessun politico dell’Unione Europea si sia stracciato le vesti per un’azione di questo genere da parte del governo di Kiev, è forse la sintesi più alta del momento storico che stiamo vivendo.